Sono passati 22 anni da quando lo Stato ha regalato le autostrade pagate dagli italiani ai Benetton, e nonostante la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) insieme ai Fondi Blackstone e Macquarie abbiano appena scucito 8,2 miliardi, la presa del concessionario privato non desiste.
A niente sono valsi i 43 morti del Ponte Morandi di Genova, o i 40 venuti giù dal viadotto di Avellino. E neppure una valutazione puramente economica, su quanto hanno incassato i “signori” dei caselli a fronte di quanto valore ha perso la rete, che prima del disatro del capoluogo ligure valeva 14 miliardi, mentre adesso gli analisti finanziari ne calcolano solo 9,3.
Per chiudere questa pagina tragica delle nostre privatizzazioni, portata a termine a fine degli anni ‘90 quando direttore generale del Ministero dell’Economia era Mario Draghi, i Benetton hanno preteso una favolosa buonuscita, che tra l’altro si sono affrettati a blindare togliendo dal mercato con un’Opa la holding Atlantia.
Lo Stato ha speso 8,2 miliardi per riportare le autostrade sotto il controllo pubblico
A gestire l’operazione è stato l’Ad di Cassa Depositi, cioè il fedelissimo di Draghi Dario Scannapieco che ha lasciato al timone l’ultimo capo-azienda scelto dai Benetton, Roberto Tomasi. Cioè, si sono spesi 8,2 miliardi per riportare le autostrade sotto il controllo pubblico e poi si lascia a gestirle un manager scelto dai privati, per quanto coinvolto nel passaggio di mano che è durato (chissà come mai) quasi due anni.
Questa scelta incomprensibile della Cdp – non l’unica della gestione Scannapieco – dovrebbe portare a un miglioramento dei servizi e alla riduzione dei costi per gli automobilisti, di cui però al momento esistono solo confuse promesse. Unica certezza, le nuove poltrone, a partire da quella della neo-presidente Elisabetta Oliveri e del Cda, tra cui si rivede l’ex amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti.