Sono diverse le rivendicazioni che il M5S porterà oggi in piazza. Numerose le scelte di politica economica e sociale del governo Meloni che i pentastellati contestano. Ma a volerle passare in rassegna svettano in cima alla lista le ultime norme del decreto lavoro 48/2023, ribattezzato dai Cinque Stelle “decreto precarietà”.
Tale provvedimento, arrivato in Consiglio dei ministri il primo maggio e in discussione al Senato, smonta di fatto due provvedimenti del M5S, ovvero il decreto Dignità col quale si arginava la precarizzazione sul mercato del lavoro e il Reddito di cittadinanza che ha combattuto l’aumento della povertà. Sui contratti a termine d’ora in avanti anche i rinnovi e non solo le proroghe saranno senza causali fino a 12 mesi. Attualmente invece la causale va indicata già al primo rinnovo, a prescindere dalla durata.
Al proliferare dei contrattini si affianca la decisione di rintrodurre i voucher per pagare i lavoratori. O meglio il via libera alla reintroduzione – dopo che erano stati aboliti nel 2017 – è arrivato con la prima legge di Bilancio del governo Meloni. Il decreto Lavoro però amplia la soglia di utilizzo per le aziende. A ciò si aggiungano i tagli sul Reddito di cittadinanza. La misura dei 5S viene sostituita dall’Assegno di inclusione per i nuclei familiari con minori, disabili o anziani – che si continuano a proteggere ma meno – e dal Supporto per la formazione e il lavoro destinato ai cosiddetti occupabili, a cui si taglia il sussidio (che si ferma a 350 euro), lo si vincola alla frequentazione di un corso di formazione e lo si rende non più ripetibile.
Di fatto perderanno il Reddito di cittadinanza 436mila famiglie che corrispondono a 615mila persone. Una scure crudele alla luce degli ultimi dati Istat che ci dicono che uno su quattro è a rischio povertà. Non solo. L’istituto di statistica certifica che le disuguaglianze nei redditi sono rimaste tali e quali e senza il Reddito di cittadinanza e gli altri sostegni per il Covid sarebbero state ancora più elevate. Fatta eccezione per l’irrisorio taglio sul cuneo fiscale, l’esecutivo ha depennato la questione salariale e quella inflazionistica dalla sua agenda. Peraltro ha pure deciso di non rinnovare gli sconti in bolletta decisi dal governo Draghi. Oltre ad aver parlato nel Def di “moderazione della crescita salariale” contro “una pericolosa spirale salari-prezzi”.
Ma altro che spirale, nel nostro Paese i salari sono fermi al palo. E nulla si fa per contrastare il fenomeno del lavoro povero. L’Italia rimane uno dei pochi paesi in Europa a non avere un salario minimo legale. E se le rate del mutuo e dei prestiti salgono non se ne parla nemmeno di tassare gli extraprofitti di banche, industrie belliche, multinazionali farmaceutiche e assicurative che in tempi di emergenza hanno aumentato a dismisura i propri ricavi. E balla anche il Pnrr, con il rischio di non riuscire a spendere quelle risorse che dovrebbero andare alla sanità, agli asili nido, agli investimenti. Tra i pasticciacci del governo svetta sicuramente quello sul Superbonus. Le misure del governo per sbrogliare la matassa sui crediti incagliati sono state un flop.
Questi stanno crescendo. Fino ad oltre 30 miliardi, secondo le stime diffuse dall’Ance. Anche perché la piattaforma per l’acquisto dei crediti nata nel corso dell’esame parlamentare del decreto sulle cessioni non riesce proprio a decollare. Per non parlare del disegno di legge sull’Autonomia differenziata che rischia di aumentare i divari tra Nord e Sud del Paese. A ciò si aggiunga l’indignazione per le parole pronunciate dal ministro Nello Musumeci ai rappresentanti dei territori alluvionati, ovvero che “il governo non è un bancomat”. Peraltro avevano promesso 2,6 miliardi, ma ne hanno stanziati la metà. Per tutte queste ragioni il M5S oggi sarà in piazza.