Da un Report di Openpolis, che rielabora i dati Eurostat sulla disoccupazione, emerge che in Europa il 38,5% dei disoccupati è tale da più di un anno. Relativamente al totale dei disoccupati il dato più elevato è quello della Slovacchia, dove due terzi dei disoccupati lo sono da oltre 12 mesi. Seguono la Grecia (61,9%) e l’Italia (57,3%). Ultime invece sono Danimarca e Paesi Bassi con cifre inferiori al 20%. Eurostat ricostruisce poi anche quante sono le persone che risultano disoccupate da oltre due anni (disoccupazione di durata molto lunga). È interessante osservare che anche in questo caso i paesi caratterizzati dalle percentuali maggiori sono sempre gli stessi. La Slovacchia risulta al primo posto con il 46,1% di disoccupati che non trovano lavoro da più di 24 mesi, la Grecia al secondo con il 40,7% e l’Italia di nuovo al terzo con il 39,9%.
Alla luce di questi dati, professore Domenico De Masi, sociologo del Lavoro, lo smantellamento del Reddito di cittadinanza per i cosiddetti occupabili, destinati a perdere il sussidio dopo un breve periodo di tempo, che senso ha?
“Non c’è solo questo. Noi sappiamo anche che dopo tre anni dalla laurea in Germania il 92% ha trovato lavoro, quindi solo 8 sono disoccupati. Da noi il 51% ha trovato lavoro dunque il 49% dopo tre anni sono disoccupati. La disoccupazione di lunga durata non dipende dalla pigrizia dei disoccupati, ma dall’assenza di un lavoro congruo che consente cioè di guadagnare più di quanto si spende. Perché se mi devo trasferire a Milano e lì, tra casa e trasporti, spendo di più mi conviene restare nella casa d’origine. Questa è la situazione italiana che è molto lontana da quella che strombazza Giorgia Meloni come grande conquista di questo governo”.
Il fatto che sia alta la percentuale di chi non trova lavoro oltre i 12 mesi significa che manca personale qualificato? E questo non aumenta la difficoltà per i percettori del Reddito di cittadinanza, la maggior parte dei quali hanno un basso grado di istruzione, a trovare impiego?
“Significa due cose. La prima è che non c’è un rapporto tra domanda e offerta. Per esempio c’è un panettiere o un barbiere a Palermo e serve un panettiere o un barbiere a Udine e magari quelli di Palermo neppure lo sanno perché i Centri per l’impiego hanno solo i dati regionali e non quelli multiregionali. Seconda cosa è che anche dopo che l’hanno saputo il guadagno che farebbero lì è molto inferiore alla perdita che avrebbero spostandosi da casa. Quindi o aumentano i salari o le persone non si spostano. La Meloni ha promesso che troverà ai percettori del Reddito di cittadinanza il posto, aspettiamo di vedere come farà. Ha detto anche che li riqualifica ma non è ancora pronto nessun centro di riqualificazione che avrebbe dovuto iniziare già molto prima la sua attività per poterli riqualificare. Come potrebbe peraltro riciclare un barbone, sarebbe bello capirlo”.
Si dice che le persone non trovino lavoro per colpa dei Centri per l’Impiego. Ma la maggior parte delle offerte di lavoro non passano attraverso questi ma attraverso canali informali. I Centri per l’impiego, destinati più a rendere una persona occupabile che occupata, non rischiano di diventare un alibi per un governo che non è in grado di fare politiche per l’occupazione?
“Le aziende utilizzano anche le agenzie private perché siccome i centri per l’impiego non funzionano c’è lo spazio per queste. Anzi io sospetto che i Centri per l’impiego non siano mai stati messi nelle condizioni di funzionare proprio per dare spazio alle agenzie private, è una forma di neoliberismo. I nostri Centri per l’impiego fanno letteralmente schifo, in Germania hanno 111mila persone addette noi ne abbiamo 12 mila, appena un decimo. Loro spendono 12 miliardi all’anno per mantenerli noi 870mila euro. Noi abbiamo fatto di tutto perché i Centri per l’impiego non funzionino. Sia i governi di destra sia di sinistra non hanno mosso un dito per renderli efficienti. L’unica azione in favore dei Centri per l’impiego fu l’assunzione dei navigator che avrebbero dovuto rimpolparli da 11mila a 14mila, ancora lontanissimi dai numeri della Germania, ma era già qualcosa in più. Ciò nonostante sono stati licenziati. Anche questo governo ha avuto sette mesi di tempo per riformarli e non l’ha fatto. Io non credo sia così difficile fare politiche per l’occupazione. Se uno le vuole fare le fa. In passato sono state molto saltuarie e frammentarie. L’unico atto di una certa corposità non per le politiche dell’occupazione ma per le politiche per mantenere i disoccupati è stato il Reddito di cittadinanza che questo governo ha smantellato”.
A maggio i numeri sull’occupazione sono leggermente migliorati, come si spiega?
“Io credo che l’occupazione sia cresciuta perché ci sono stati soprattutto tra i giovani molti che hanno rifiutato offerte di lavoro non congrue e allora i datori di lavoro hanno aumentato un po’ le offerte di salario e migliorato le condizioni. Ma rimaniamo pur sempre a un tasso attorno all’8% di disoccupazione, comunque sempre tra gli ultimi in Europa. Il punto è che partivamo da una situazione talmente disastrosa che, anche essendo migliorata un po’, fa sempre schifo”.
Salario minimo. La Confindustria dice di non voler porre veti a una legge che lo introduca. Col governo rimane solo la Cisl a opporsi?
“In tutte le contrattazioni storicamente la Cisl ha assunto un atteggiamento diverso. Solo Cgil e Uil votarono contro il Jobs act. La verità è che la Cisl è stata sempre fiancheggiatrice delle politiche padronali”.
La Cisl dice che un buon contratto è sempre meglio di una cifra fissata dalla legge.
“Certo che è così. Ma il punto è che tre milioni di persone non ce l’hanno. Per queste il contratto non l’hanno mai fatto”.
Contratti a termine. Il governo li ha resi più facili. Il mercato del lavoro oggi aveva bisogno di ulteriore flessibilità?
“Il mercato del lavoro è diverso se visto dal punto di vista neoliberista o socialdemocratico. Dal primo punto di vista più il mercato è libero e fa i suoi comodi meglio è. Dal secondo punto di vista più è libero peggio è. Io sono socialdemocratico dunque la mia opinione è che questa scelta di rendere più facili i contratti a termine peggiorerà il mercato del lavoro, secondo la Meloni lo migliorerà”.