Il Black Friday. Letteralmente “venerdì nero”. In origine era il giorno delle file chilometriche nei grandi magazzini statunitensi, oggi si è spostato in gran parte online. Parliamo del venerdì successivo al giorno del Ringraziamento, celebrato negli Usa il quarto giovedì di novembre. Al di là delle origini del nome (si pensa sia legato al traffico da incubo causato dai mega-sconti), la certezza è che è il venerdì nero per i lavoratori del settore della logistica e per quelli di Amazon. Anzi, non solo un giorno, perché ormai il Black Friday dura circa dieci giorni, come quest’anno.
Secondo le stime del Codacons, quattro italiani su dieci acquisteranno usufruendo degli sconti del Black Friday. Un giro d’affari da 4 miliardi. Per Confcommercio ben il 60% degli italiani acquisterà in questi giorni, soprattutto giovani e in tutta Italia. In molti compreranno i regali di Natale (lo farà uno su due), con una spesa media di 236 euro. Insomma, Amazon di certo festeggia per i grandi affari che farà in questi giorni, ma i lavoratori proprio no. Non è un caso che in 30 Paesi (in tutto il mondo) siano state organizzate manifestazioni che a livello globale prendono il nome di Make Amazon Pay. Amazon deve pagare. Con scioperi in Germania, Inghilterra, Spagna e Francia, prendendo di mira anche gli armadietti Amazon Locker (bloccati per non permettere di effettuare consegni o ritirare i pacchi).
In Italia c’è stato lo sciopero nel magazzino di Castel San Giovanni (con il 60% di adesioni). La questione va al di là del venerdì nero, ovviamente. In Italia è impossibile stimare anche soltanto il numero di lavoratori di Amazon: si ipotizza siano intorno ai 16mila, ma tra il grande turn over e il personale esterno è impossibile avere cifre precise. Come sottolinea a La Notizia Walter Barbieri, coordinatore nazionale Uil Trasporti, oggi l’Italia è all’ultimo posto in Europa per ricorso all’e-commerce, intorno al 18-19%, ma “con un trend in aumento del 10-15% anno su anno”.
Partendo da questo quadro si arriva al Black Friday, un periodo in cui “aumenta la pressione” sui lavoratori con la crescita degli ordini, come sottolinea Alberto Zucconi, della Filcams Cgil. E non si tiene conto del fatto che “le persone non sono macchine e non possono avere una resa costante”.
Peggio che mai
Tanto che Barbieri sottolinea che il personale cambia di continuo perché “non regge più di 3-4 anni” alle condizioni di lavoro stressanti. Problema più grave durante questi giorni, con un aumento “sproporzionato” delle attività da svolgere. Nonostante vengano impiegati tantissimi lavoratori esterni tramite le agenzie, senza contratto e spesso “sfruttati”. E chi lavora con Amazon si trova di fronte un approccio definito “militaresco”: i lavoratori non possono “andare in bagno, usare i telefoni, non si possono alzare dal posto”.
Non a caso, ricorda Zucconi, la Cgil è in stato di agitazione da un paio di mesi per la richiesta di un aumento della retribuzione per rispondere al caro-vita, “conseguenza anche del fatto che Amazon chiude ogni trimestre con grandi profitti”. L’ultimo aumento è stato limitato all’1,1% e si chiede molto di più. Oltre che un “confronto serio e sincero” sul tema della sicurezza: dai carichi di lavoro alla movimentazione dei carichi, passando per i problemi legati a patologie scheletriche che riguardano sempre più i lavoratori. I temi sono tanti, come per esempio quello dei driver.
Barbieri sottolinea come un grosso problema sia determinato dall’algoritmo che stabilisce la consegna dei pacchi, arrivando da 180 a 200 consegne medie al giorno (3 minuti a pacco circa). E se non rispetti i tempi rischi una segnalazione disciplinare. Il tutto aggravato dall’esternalizzazione di alcuni servizi a cooperative che “non si preoccupano della sicurezza” e ricorrono a “mezzi fatiscenti”. Per cui, nonostante il confronto sindacale aperto con Amazon, resta il problema delle aziende esterne a cui si ricorre.
Incognite sul futuro
La speranza è che qualcosa nel settore si muova, almeno sul fronte contrattuale: il 30 novembre, spiega il coordinatore nazionale della Uil trasporti, “apriamo la fase del rinnovo per la logistica” (in scadenza a marzo 2024), che riguarda circa un milione e mezzo di lavoratori. Le aziende chiederanno “di nuovo flessibilità”, le sigle hanno presentato una piattaforma che prevede aumenti in busta paga del 18%. Per ora arrivano segnali negativi dalle imprese.
Ma il tema è anche un altro: fare in modo che le aziende più piccole, che non applicano il contratto nazionale, inizino a rispettarlo altrimenti bisognerà trovare il modo di escluderle dal mercato. Il problema più urgente, di fronte all’inflazione galoppante, è quello dei salari. Attualmente “un operaio di sesto livello (il più basso) full-time percepisce mediamente intorno ai 1200-1300 euro netti”, una cifra che, a fronte di un lavoro spesso massacrante, ormai è sufficiente a malapena a pagare un affitto nelle grandi città.