Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, cosa pensa del disegno di legge sull’autonomia differenziata?
“In uno scenario di maggiori autonomie regionali la sanità rappresenta una cartina al tornasole, considerato che il diritto costituzionale alla tutela della salute – affidato sulla carta alla leale collaborazione tra Stato e Regioni – è nei fatti condizionato da 21 sistemi sanitari che generano gravi diseguaglianze. Una attuazione tout court delle maggiori autonomie richieste è dunque inevitabilmente destinata ad amplificare le diseguaglianze di un SSN, oggi universalistico ed equo solo sulla carta: in altre parole, senza un contestuale potenziamento delle capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, il regionalismo differenziato rischia di legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.
E rispetto alle tipologie di autonomie richieste?
“Alcune richieste di maggiore autonomia rappresentano oggi strumenti per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario da estendere idealmente a tutte le Regioni: abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e istituzione di contratti di formazione-lavoro per gli specializzandi per anticipare il loro ingresso nel mondo del lavoro, se realmente intesi come contratti sostitutivi delle attuali borse di studio. Altre forme di autonomia rischiano di sovvertire totalmente gli strumenti di governance nazionale in un momento storico in cui la riorganizzazione dei servizi sanitari legata alle risorse del PNRR impone proprio di ridurre le diseguaglianze regionali: dal sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione al sistema di governance delle aziende e degli enti del SSR, all’autonomia nella determinazione del numero di borse di studio per la scuola di specializzazione e per il corso di formazione specifica in medicina generale”.
La maggiore autonomia legislativa, organizzativa e amministrativa in materia di fondi sanitari integrativi che effetti può provocare?
“È un ambito in cui non esiterei a definire francamente “eversiva” una maggiore autonomia (richiesta peraltro solo dalla Regione Veneto), che darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali totalmente sganciati dalla normativa nazionale. Una normativa frammentata e incompleta che ha consentito sia l’ingresso strisciante delle assicurazioni sanitarie in un ecosistema che era stato creato per enti no-profit, sia l’utilizzo di fondi pubblici provenienti dalla defiscalizzazione dei fondi sanitari per alimentare lasanità privata”.
Ma è vero che il SSN, come si sente dire da alcuni, è così piatto e “troppo uguale”? Non erano proprio le disuguaglianze il vero problema del SSN?
“Una simile affermazione è frutto di ignoranza e/o malafede, perché i dati documentano rilevanti diseguaglianze e iniquità tra le 21 Regioni e Province autonome, sia in termini di offerta di servizi e prestazioni sanitarie, sia di appropriatezza dei processi, sia soprattutto, di esiti di salute. In ogni caso, se il SSN fosse “piatto”, ovvero se garantisse il diritto alla tutela della salute in tutte le Regioni, farebbe esattamente il suo dovere: quello che gli assegna l’art. 32 della Costituzione”.
Quali dovrebbero essere invece le misure per diminuire il gap tra nord e sud?
“Aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello stato sulle Regioni, nel rispetto delle loro autonomie e della legislazione concorrente, secondo quanto previsto dall’art. 117 della carta costituzionale”.