Netanyahu era stato informato dell’imminente attacco di Hamas del 7 ottobre, ma non fece nulla per fermarlo. Israele e Stati Uniti hanno superato ormai tutte le linee rosse, anche nelle provocazioni all’Iran. Alla fine gli ayatollah reagiranno con l’atomica.
Otello Conti
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Gentile lettore, contrariamente a quanto spesso si legge, è un fatto assodato che l’Iran non ha l’atomica. Non perché non possegga le tecnologie per fabbricarla, ma perché grava ancora la fatwa di Khomeini, il quale sentenziò che l’arma nucleare era un peccato contro l’umanità. La fatwa per sua natura non ha scadenza, quindi è ancora vincolante per il regime teocratico, però adesso in Iran si sta discutendo su basi teologiche se sia lecito a un fedele contraddire una fatwa quando le circostanze che la dettarono siano fortemente cambiate. Se l’Iran prendesse la decisione, la fabbricazione della prima testata atomica richiederebbe da poche settimane a pochi mesi, secondo valutazioni discordanti di vari esperti. Quanto a Gaza, il governo sapeva della rivolta in preparazione, lo avevano avvertito perfino i servizi segreti egiziani, ma Netanyahu non diede l’ordine di intervenire: forse sperava nell’incidente che gli avrebbe permesso di rimanere in carica – il governo era sull’orlo della sfiducia – e con ciò di sottrarsi ancora per un certo tempo ai processi per corruzione che gravano su di lui. In altre parole, ritengo che Netanyahu abbia voluto la carneficina – di israeliani prima e di palestinesi dopo – non nel quadro di una strategia genocida (che comunque c’è e c’era anche prima) bensì per un bieco calcolo di interesse personale.
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