Sono in affanno, molto più di quanto si possa immaginare. E con la campagna elettorale di fatto già cominciata c’è il rischio che la situazione possa peggiorare ulteriormente. Di chi stiamo parlando? Dei “nostri” partiti, anzi meglio, dei loro bilanci, tutt’altro che floridi. Openpolis li ha passati ai raggi X e messo nero su bianco un dossier che già dal titolo dice praticamente tutto: “Partiti in crisi verso un nuovo sistema politico”. Bisogna andare a ritroso per capire bene il perché di una considerazione a tratti apocalittica, partendo quindi dalle conclusioni. Scrive infatti l’osservatorio civico della politica italiana che, se è vero che i dati analizzati – quelli dei bilanci appunto – si prestano a diverse interpretazioni, “quella dominante è l’emersione di un nuovo sistema politico, di cui il partito, ridimensionato nel finanziamento pubblico e trascurato da quello privato (ad eccezione degli eletti), non è più l’asse centrale”. Ecco quindi quello che, da adesso in poi, potrebbe essere il nuovo paradigma: “A seguito di questa crisi, il gruppo parlamentare, da soggetto istituzionale, viene chiamato a finanziare anche attività che sarebbero di normale competenza dei partiti”. Ma non solo. “Il progressivo svuotamento dei partiti, se non sarà invertito nei prossimi anni (…), è destinato ad accrescere il ruolo di fondazioni, associazioni e think tank contigui a singole personalità politiche”. Realtà, queste ultime, non sottoposte a certi obblighi di trasparenza. Con tutti i rischi del caso.
Il prologo – Ma da dove parte questa crisi? Prima di tutto, dalla riduzione del famigerato finanziamento pubblico ai partiti. Il sistema, come noto, è stato riformato due volte negli ultimi 5 anni: prima dal Governo di Mario Monti (2012) e poi da quello di Enrico Letta (2014). Quest’ultimo, in particolare, ha rimodulato il meccanismo con cui le forze che albergano in Parlamento ricevono fondi pubblici: i rimborsi elettorali, automatici e commisurati al risultato raccolto alle urne, sono stati sostituiti dal 2X1000. Che però è un grosso punto interrogativo, visto che la sua entità dipende dalla capacità di Partito democratico, Forza Italia e co. di intercettare le scelte dei contribuenti. Non è un caso se, come sottolineato da Openpolis, “nelle intenzioni del legislatore il 2X1000 avrebbe dovuto supplire all’eliminazione del finanziamento diretto, almeno per i partiti iscritti nel registro istituito con la stessa legge”. In parallelo col taglio dei rimborsi, il decreto Letta prevedeva infatti un tetto crescente da erogare col 2X1000, che da quest’anno può valere fino a 45,1 milioni di euro. Cos’è successo invece? Rispetto ad uno stanziamento teorico di 27,7 milioni nel 2016, meno di 12 milioni sono stati realmente incassati dai partiti. Perciò, ha rilevato l’associazione, “finora il 2X1000 non è riuscito a compensare le entrate che garantivano i vecchi rimborsi elettorali”. Il risultato? Basta guardare il grafico pubblicato qui a fianco: da inizio legislatura le entrate dei partiti si sono ridotte del 61%, passando dagli 88,6 milioni del 2013 ai 34,7 del 2016. Con conseguenze note, come i 174 dipendenti del Pd recentemente messi in cassa integrazione.
Dritto e rovescio – Stesso discorso pure per il finanziamento privato, che sta andando incontro ad una progressiva contrazione. Escludendo l’anno delle elezioni, il periodo più “florido” per la raccolta di donazioni da cittadini privati e persone giuridiche, negli anni seguenti queste sono passate da 21 a 12,4 milioni. Non proprio benissimo, insomma. Ecco allora entrare in gioco, come detto, soggetti “satelliti” (almeno in apparenza): fondazioni, think tank e associazioni che “godono di una propria autonomia, sono titolari di propri canali di finanziamento (pubblico e privato) e sono soggetti a vincoli di trasparenza diversi da quelli previsti dai partiti – ricorda Openpolis nel dossier –. Il rischio è che alcuni soggetti siano monitorati, mentre altri no, lasciando possibili zone d’ombra su come la politica si finanzia”. Un caso emblematico è quello della fondazione Open vicina all’ex premier e segretario del Pd, Matteo Renzi, che l’anno scorso ha organizzato l’evento che ha lanciato l’ultimo mese di campagna referendaria, la famosa Leopolda. Dai bilanci 2016, emerge come l’organizzazione abbia promosso la campagna per il Sì anche con l’allestimento dell’evento, costato circa 240mila euro. Diverso invece il discorso per FI e M5S. Nel primo caso, una volta fissato un tetto massimo (100mila euro) alle donazioni dei privati, il partito di Silvio Berlusconi – che nel 2013 ha messo sul piatto 15 milioni (il 99,5% delle contribuzioni) – è andato in sofferenza, anche a causa dei tanti parlamentari “morosi” (circostanza di cui La Notizia si è occupata in diverse occasioni). I grillini, non iscritti al registro dei partiti, non hanno accesso al 2X1000. Come si sostentano? Principalmente coi soldi appannaggio dei gruppi parlamentari (6 milioni nel 2016) e coi contributi all’associazione Rousseau, finanziata con le donazioni private dei sostenitori. Nel 2016 complessivamente cuba circa 400mila euro di entrate dalla gestione caratteristica.
Tw: @GiorgioVelardi