La società che controlla le nostre autostrade, Atlantia, ieri ha perso in Borsa quasi il 4%. Dal 14 agosto la caduta del titolo si aggira intorno al 40%, bruciando miliardi di euro. Un danno innegabile per gli azionisti, abituati solo a guadagnare da questa gallina dalle uova d’oro, il cui asset portante è la concessione di un pezzo rilevante delle autostrade italiane a condizioni ridicole per il concedente, cioè lo Stato. Per il Consiglio di amministrazione la colpa di tutto potrebbe essere del premier e degli esponenti politici che hanno messo in dubbio l’affidamento alla controllata dei Benetton, fatto a suo tempo da governi compiacenti, e non il crollo di un ponte con 43 morti, decine di feriti, centinaia di sfollati e l’ennesima figuraccia mondiale dell’Italia, sempre più percepita come un Paese arretrato e pericoloso. Solo così si possono spiegare le conclusioni a cui è arrivato il Cda della holding a capo di Autostrade nell’ennesimo comunicato da incorniciare e studiare nelle università come esempio della peggiore comunicazione possibile.
Nel documento diffuso al termine del board, si è infatti arrivati a minacciare lo Stato, i giornali e chiunque esprima valutazioni sconvenienti al gruppo. Il Consiglio – è stato scritto – ha “avviato la valutazione degli effetti delle continue esternazioni e della diffusione di notizie sulla società, avendo riguardo al suo status di società quotata, con l’obiettivo di tutelare al meglio il mercato e i risparmiatori”. Scopriamo così che il gruppo della galassia Benetton rispetta la libertà di opinione, la Costituzione e le Istituzioni tanto quanto quei passaggi della concessione autostradale che la obbligavano a garantire una manutenzione stradale sufficiente a scongiurare quello che è successo a Genova. Un segnale di poca lucidità, persino nell’ipotesi sempre più probabile di una strategia mirata a far partire un contenzioso legale ed economico con il Governo che ha deciso di rendere giustizia alle vittime e revocare o annullare la concessione.
Manager nel pallone – Se un giorno la società di Castellucci prova a “conquistare” l’opinione pubblica e i favori della politica promettendo 500 milioni e la costruzione di un nuovo ponte a proprie spese, il giorno dopo fa inviperire tutti, mostrando un’arroganza che nella sua posizione non può proprio permettersi. Reazioni sconnesse che si spiegano con la poca abitudine a fronteggiare un Governo che non si genuflette e un’onda popolare perfettamente d’accordo con la fine di questa pappatoia a discapito cello Stato che sono le concessioni date in modo folle in passato. Un furore che rischia di far buttare il bambino con l’acqua sporca, e anziché bloccare le sole concessioni scandalosamente favorevoli ai privati, riapre un dibattito sulla nazionalizzazione di tutte le attività economiche affidate dal pubblico ai privati. Attività che in molti casi hanno creato profitto per tutti, a cominciare da uno Stato che raramente ha dimostarto di saper fare l’imprenditore. Basti ricordare le perdite miliardarie di molti carrozzoni ai tempi dell’Iri e delle famigerate partecipazioni statali.
Via alla propaganda – Chi gode da anni del privilegio di guadagnare moltissimo grazie a beni pubblici ottenuti in gestione a prezzi stracciati, è chiaro che adesso non ci sta a farsi togliere il giocattolo. E per questo si sta gonfiando la macchina della propaganda, con interventi in tv e sui giornali già concilianti sul ruolo di chi aveva per contratto la responsabilità di tenere in sicurezza il ponte caduto nel capoluogo ligure. In alternativa si soffia sulle divergenze di idee tra i ministri dei Cinque Stelle e Lega, nella speranza che le due forze politiche rompano davvero e a decidere della concessione cara ai Benetton venga poi qualcun altro. Uno scenario comunque complesso, per il quale è necessario prevedere da subito anche altre vie d’uscita, a partire dal piano B in Italia buono per tutte le occasioni: mettere ogni cosa in conto dello Stato. Questo piano lo abbiamo appena visto con il dibattito sulla rete della Telecom, candidata ad essere venduta a una società con il cappello pubblico, così da abbattere con il prezzo riscosso l’enorme debito presente sul bilancio dell’ex monopolista dei telefoni. Per questo genere di operazioni c’è stato anche nel recente passato un bancomat sempre disponibile: la Cassa Depositi e Prestiti. Di qui la trovata appena emersa nell’entourage dei Benetton: perchè non continuare ad utilizzare la Cdp con le stesse modalità di sempre, facendole comprare Atlantia? In questo modo si avrebbe un effetto simile alla nazionalizzazione, ma con un risultato paradossale: invece di far pagare i Benetton continueremmo a coprirli di soldi. Sono geniali questi capitalisti.