Quando gli si sono avvicinati i carabinieri nella clinica Maddalena di Palermo in cui era arrivato con il suo fiancheggiatore Giovanni Luppino a bordo di un’auto ha risposto: “Sono Matteo Messina Denaro”· U Siccu sapeva di essere in trappola, perfino quell’allontanamento verso il bar della clinica privata mentre gli uomini del Ros lo cercavano è uno stanco tentativo di allontanarsi che, raccontano, non è durato più di qualche secondo.
La cattura di Matteo Messina Denaro non è la fine della lotta alla mafia. Troppe le domande senza risposta per poter festeggiare
L’arresto dell’ultimo boss degli stragisti di Casa Nostra è già stato consegnato come fine di un’epoca dalle agenzie di stampa. L’ultimo capo dei capi, l’uomo che Riina aveva allevato con tanta cura prima di rimanerne deluso nei suoi ultimi anni di vita (arrivò perfino a dargli dello “sbirro”, anche questo è un mistero che aspetta di essere spiegato), viene catturato smagrito e stanco.
L’immagine dei carabinieri che lo portano fuori dalla caserma lo mostrano smagrito e stanco. Non c’è nulla mitologia di belle donne, isso e auto veloci. È un anziano uomo che mostra molto di più dei suoi sessant’anni. Gli è stata fatale sulla seduta di chemioterapia fissata da tempo. L’arresto di Messina Denaro è un fatto storico: 30 anni di latitanza sono un peso sulla coscienza che solo per qualche ora potrà essere lenito dalla soddisfazione del momento.
Fedelissimo dell’ala stragista di Cosa nostra, quella dei corleonesi, sarebbe stato presente al summit voluto da Riina, nell’ottobre del 1991, in cui fu deciso il piano di morte che aveva come obiettivi Falcone e Borsellino. I pentiti raccontano, poi, che faceva parte del commando che avrebbe dovuto eliminare Falcone a Roma, tanto da aver preso parte ai pedinamenti e ai sopralluoghi organizzati per l’attentato. Da Palermo, però, arrivò lo stop di Riina. E Falcone venne ucciso qualche mese dopo a Capaci.
Deve scontare diverse condanne per altrettanti omicidi, tra cui quello feroce del giovane Giuseppe Di Matteo strangolato e sciolto nell’acido dopo due anni di prigionia e le stragi in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. “Con le persone che ho ammazzato io, potrei fare un cimitero”, confidava a un amico. Ma l’arresto di Messina Denaro non è una risposta. È la prima di una serie di domande. La storia è tutt’altro che finita. La storia inizia adesso. Adesso sarà il tempo di capire come possa un latitante ricercato da tutti aver goduto di trent’anni di impunità, scarrozzando tra la sua Castelvetrano dove aveva i suoi affetti e le sue protezioni.
Chi ha protetto Matteo Messina Denaro finora? Questa è la vera domanda
Ora si potrà rispondere alla pm Teresa Principato che nel 2012 era convinta di esserci arrivata vicinissima ma venne intralciata dai suoi stessi colleghi. A proposito: ieri quasi tutti hanno dimenticato il furto delle chiavette usb di Principato che le vennero sottratte dal suo ufficio, contenevano i numeri telefonici tenuti sotto controllo e tutti gli atti d’indagine. Chi ha protetto Matteo Messina Denaro finora? Questa è la vera domanda.
Quella rete di protezione, fatta non solo di mafiosi, è ancora là, intatta, pronta a mettersi in moto per inseguire i propri interessi e per riattivarsi anche senza il padrino. Ci vuole memoria, oggi più che mai. Sui giornali e tra i commentatori, presunti esperti, ci si sgola per sottolineare l’applauso dei pazienti nella clinica palermitana al momento dell’arresto. Le scene di gioia le abbiamo viste in occasione degli arresti di Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca. Perfino Falcone una volta disse a Borsellino «la gente comincia a fare il tifo per noi». Poi sappiamo com’è finita.
Sarò anche per questo che il fondatore di Libera don Luigi Ciotti avverte: “Ciò che però un po’ preoccupa è rivedere le stesse scene e reazioni di trent’anni fa: il clima di generale esultanza, l’unanime plauso dei politici, le congratulazioni e le dichiarazioni che parlano di “grande giorno”, di “vittoria della legalità” e via dicendo. Non vorrei si ripetessero pure gli errori commessi in seguito alla cattura di Riina, e di Provenzano. Le mafie non sono riducibili ai loro “capi”, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema”.
Matteo Messina Denaro ha modernizzato la mafia e ne ha fatto un partner dell’Italia apparentemente pulita. Ci è riuscito sicuramente a livello imprenditoriale, trasformando un elettricista di Alcamo, Vito Incastri, nel re della pale eoliche o mettendo le mani sui supermercati Despar e su un’etichetta di vino che s’è preso perfino un premio durante un Vinitaly.
A livello politico sappiamo dei suoi rapporti di lunga data con l’ex senatore berlusconiano Antonio D’Alì (condannato a sei anni di carcere). Ma i padrini veri non li conosciamo ancora. O forse semplicemente fingiamo di non volerli conoscere. Lo straordinario successo delle forze dell’Ordine e della magistratura non ha niente a che vedere con la politica che forsennata esulta.
“L’arresto di Matteo Messina Denaro, dopo 30 anni di latitanza e di ricerca senza sosta da parte delle Forze dell’Ordine, dimostra ancora una volta che lo Stato è più forte e la mafia non vincerà”, ha detto ieri Silvio Berlusconi. Come se la mafia non avesse già vinto, presentando il conto delle sue vittime sconfitte per la vigliaccheria della politica. Siamo sicuri che un arresto dopo 30 anni di latitanza sia una vittoria? Questa è la domanda che bisognerebbe avere il coraggio di porsi. Non è stata sconfitta la mafia, per niente.
È stato inferto un duro colpo con l’arresto di un capo vecchio e malato, come è accaduto per il suo predecessore. La vera lotta alla mafia si può fare se Matteo Messina Denaro non diventerà, come quelli prima di lui, un feticcio da mostrare al mondo ma una chiave con cui aprire le porte.
Due mesi fa l’ex persona di fiducia di Messina Denaro, Salvatore Baiardo, profetizzò che con il nuovo governo sarebbe potuto arrivare “un regalino”: “Magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?”, disse intervistato da Giletti. Probabilmente è solo una coincidenza. Ma non è tempo di troppi festeggiamenti: la lotta alla mafia inizia ora.