di Stefano Sansonetti
Una mina vagante all’interno dei conti delle Ferrovie dello stato. Sui binari della società guidata da Mauro Moretti non sfrecciano soltanto i treni dell’alta velocità, ma anche sostanziosi contratti derivati. A quanto pare, però, il loro andamento è così spedito che si rischia di perderne il controllo, pagando pesantemente dazio. Il dato di fatto certo è che per ora il risultato che hanno portato in dote è un “buco” potenziale di quasi mezzo miliardo di euro. Inutile dire che si tratta di una cifra molto consistente. Certo, a stare a quanto è scritto nell’ultimo bilancio consolidato del gruppo pubblico, relativo al 2012, non si tratta di derivati speculativi, ovvero di strumenti finanziari per guadagnare (o perdere) soldi attraverso articolati marchingegni finanziari. Si tratta invece di derivati di copertura, sarebbe a dire contratti che vengono stipulati dalle Fs per proteggersi dai rischi di cambiamento dei tassi di interesse e dei tassi di cambio. Si tratta quasi di una prassi, per società che vedono muoversi intorno a loro miliardi di euro di finanziamenti e che su questi devono pagare interessi la cui entità è legata alla volatilità dei tassi. Per quanto “logici” per un colosso come Ferrovie, però, non c’è dubbio che l’escalation di risultati negativi messi a segno dagli strumenti in pancia alla società sia per certi aspetti impressionante. Basti pensare che il 1° gennaio del 2009 il saldo negativo dei derivati era stato di 212 milioni di euro. A distanza di 4 anni la performance negativa è più che raddoppiata. Per rendersene conto basta vedere cosa dice l’ultimo bilancio 2012 approvato non molto tempo fa dalla società presieduta dall’ex presidente della Consob Lamberto Cardia.
La situazione
Cominciamo subito dicendo che il risultato negativo dei derivati di Ferrovie ammonta al 31 dicembre 2012 alla bellezza di 498 milioni di euro. Questo macigno rappresenta una perdita “potenziale”, perché rispecchia quello che al momento è il valore di mercato dello strumento. Ma il saldo negativo, seppur momentaneo, si riflette sul patrimonio della società, costretto a pagare pegno in termini di riduzione delle corrispondenti riserve. E’ quello che è accaduto alla “riserva per variazione fair value sui derivati”. Ora, il fair value è appunto il valore di mercato dei contratti e la riserva in questione include proprio “la variazione netta accumulata del fair value degli strumenti di copertura dei flussi finanziari relativi a operazioni coperte”. Il tutto, si legge subito dopo nel bilancio, “al 31 dicembre 2012 presenta un saldo negativo pari a 498 milioni”. Ripetiamo, non si tratta di derivati speculativi. Lo stesso documento contabile di Fs ribadisce più volte che “gli strumenti finanziari derivati stipulati dal gruppo Fs sono volti a fronteggiare l’esposizione al rischio di cambio e di tasso d’interesse e a una diversificazione dei parametri di indebitamento che ne permetta una riduzione del costo e della volatilità”. Per quanto l’obiettivo sia questo, però, al momento il risultato è di segno completamente opposto. E sta facendo soffrire i conti.
Il trend
Anche perché non si può certo dire che le cose siano andate bene negli ultimi anni, anzi. Per carità, il bilancio consolidato 2012 di Fs parla di ricavi che hanno tenuto a 8 miliardi e 200 milioni di euro e di utili per 381 milioni, in aumento del 33,7% rispetto all’esercizio precedente. Ma il percorso “deteriorato” dei derivati è visibile da almeno 4 anni. Recuperando i vari bilanci, infatti, si verifica come al 1° gennaio del 2009 il saldo fosse negativo per 212 milioni; il 1° gennaio del 2010 la cifra era salita a 288 milioni; alla fine dello stesso anno la situazione si era aggravata sino a toccare i 342 milioni, che sono diventati 414 alla fine del 2011. Fino ad arrivare alla conclusione dell’anno scorso quando, come detto, il saldo negativo ha toccato i 498 milioni di euro. Un salasso. La Notizia ieri per tutto il giorno ha sottoposto a Fs la questione derivati, per conoscere la posizione della società. Senza avere risposta.