Di Gaetano Pedullà
Gli zozzoni vadano in galera. Se vogliamo cambiare questo Paese, la prima riforma sta proprio qui. Chi ruba, chi abusa di un ruolo politico o amministrativo deve sapere che lo Stato c’è. E non guarda in faccia a nessuno. A fare giustizia però deve essere Lo Stato, applicando la legge. Tutta la legge, non solo quella parte che asseconda i teoremi delle Procure o gratta la pancia a un’opinione pubblica indignata e forcaiola. Così ieri abbiamo assistito a una pagina buia per il nostro Diritto.
Il Parlamento ha autorizzato l’arresto per Giancarlo Galan, accusato di aver preso mazzette legate alla costruzione del Mose a Venezia. Una decisione che – piaccia o no – stravolge la legge. Il nostro ordinamento prevede infatti in modo chiaro che l’arresto preventivo di un cittadino – sia deputato o meno è irrilevante – possa essere disposto come misura estrema e solo nel caso l’indagato possa fuggire, reiterare il crimine o inquinare le prove.
Adesso siccome è improbabile che Galan ricoverato con le gambe a pezzi scappi, è ancora più improbabile che possa prendere nuove tangenti e le prove (o presunte tali) sono state ampiamente fornite dai magistrati al Parlamento, l’arresto di quest’uomo – che ci faccia simpatia o meno – è una forzatura alla quale la Camera si è piegata senza alcuno spirito di contrapposizione con la magistratura. La giustizia così ha lasciato il posto al giustizialismo. Una cosa ben diversa e di fronte alla quale i cittadini non sono più tutti uguali, ma si dividono in coloro che possono condannare, con i propri supporter, e chi può essere solo condannato. Il Diritto, insomma, sommerso peggio che sotto l’acqua alta di Venezia.