In via Bellerio, nel quartier generale della Lega, i fedelissimi di Matteo Salvini avevano fissato l’asticella al 10%. Sotto quella cifra, si diceva nel cerchio magico del leader, sarebbe stato difficile non riconoscere la sconfitta. Il risultato impietoso uscito dalle urne delle regionali in Abruzzo è ben lontano, fermandosi a un 7,4% che brucia ancora di più di fronte al 13% degli alleati di Forza Italia (che che in due anni sono cresciuti di due punti) e al 24% di Fratelli d’Italia a cui andrebbe aggiunto molto di quel 6% della lista civica del presidente Marco Marsilio fortemente sostenuta da persone della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Salvini deve contare altri 122mila voti persi. Dopo le Europee potrebbe farsi avanti un triumvirato composto da Zaia, Fedriga e Fontana
Il tracollo della Lega sta tutto nel tracollo del suo segretario. Le cifre disegnano i contorni del crollo. Rispetto alle elezioni regionali abruzzesi del 2019 stravinte dalla Lega con il 27% dei voti il partito ha perso qualcosa come 122mila voti. Le 165mila preferenze di cinque anni fa sono un mucchietto di 43mila schede. Se è vero che Marsilio è stato riconfermato presidente (l’unico a riuscirci qui negli ultimi trent’anni di alternanza forsennata tra centrodestra e centrosinistra) la geografia del suo potere oggi racconta tutt’altra storia: i 10 consiglieri leghisti della scorsa legislatura oggi sono diventati due e c’è da scommettere che i quattro assessori del Carroccio su sei saranno solo un ricordo.
Che la Lega stesse cominciando “a perdere tutto” per “il chiudere gli occhi, il tirare a campare rispetto a una valanga di problemi che, per scelta venivano accantonati, o per insipienza elusi” l’aveva denunciato all’orecchio di Salvini un leghista doc deluso che a novembre 2021 aveva lasciato la presidenza della società di trasporto pubblico abruzzese. Gianfranco Giuliante in una lettera aperta aveva descritto la leadership di Salvini come “un cesarismo cacio e ova ove esponenti storici della Lega si ritrovano con un daspo che impedisce la possibilità di partecipazione ai congressi senza motivo o per antipatia personale dopo molti anni di ruoli attivi e continuativi che hanno garantito la presenza della Lega in ogni occasione”.
Per Giuliante la gestione Salvini aveva tradotto “il dramma in farsa” e “la storia, che qui è una storiaccia, in isteria”. Poi ci sono stati gli addii dell’ex assessore ad Ambiente ed Energia Nicola Campitelli passato dalla Lega a Fratelli d’Italia (rieletto ieri) e l’assessora regionale alla Salute Nicoletta Verì che ha preferito candidarsi nella lista Marsilio. I dieci consiglieri di Salvini nella scorsa legislatura si sono dimezzati cammin facendo, con uscite più o meno polemiche nei confronti del ministro alle Infrastrutture. Che Salvini fosse terrorizzato da un risultato deprimente era la voce che circolava tra i leghisti. Negli ultimi giorni il segretario si era traferito in Abruzzo in pianta stabile, macinando quindici incontri in sei giorni, attraversando anche i paesi più piccoli. Non è servito.
La gestione padronale del partito presenta il conto al leader della Lega
Non è servita nemmeno la simulata sincerità con cui rivendicava avere comunicato agli abruzzesi il fallimento della linea Roma-L’Aquila con i fondi del Pnrr, poi recuperata in extremis con la promessa arrivata direttamente da Palazzo Chigi. A Salvini in Abruzzo non crede più nessuno e ora, anche in mancanza di congresso, la fronda interna è pronta alla sostituzione. Gli permetteranno come ultimo flop quello delle elezioni Europee e poi l’epoca del “capitano” si chiuderà mestamente. A sostituirlo sarà il triumvirato formato dal presidente veneto Zaia, il governatore friulano Fedriga e il presidente lombardo Fontana oppure il solo Fedriga con l’assenso degli altri due. Si riparte dal nord, dicono i militanti, ma soprattutto si riparte mettendo in panchina Salvini. Lui sui social scrive: “Bella vittoria del centrodestra, con un buon risultato per la Lega che supera i 5 Stelle e sinistra malamente sconfitta”. Ma è una voce in lontananza.