L’antropologia politica del presidente argentino di destra e ultra-liberista Javier Milei assomiglia ogni giorno di più all’archetipo sovranista dell’urlatore acquiescente appena indossa una giacca e una cravatta disposto a fare il contrario di quel che ha detto. Domenica il presidente argentino ha incontrato il suo connazionale Papa Francesco che solo due mesi fa aveva definito “un imbecille”, un “gesuita che promuove il comunismo”, il “rappresentante del Male nella Casa di Dio”, una “persona nefasta”.
Il presidente argentino Javier Milei ha incontrato il suo connazionale Papa Francesco che solo due mesi fa aveva definito “un imbecille”
Otto settimane fa per Milei Papa Francesco dimostrava “forti affinità” con “comunisti assassini” stando dalla parte “delle dittature sanguinarie” e della “sinistra anche quando è fatta di veri criminali”. Il presidente argentino, all’epoca candidato alle presidenziali, spiegava agli argentini che la giustizia sociale professata dal pontefice consisteva in “frutti del lavoro di qualcuno” che “vengono rubati e vengono dati a un altro”.
Per Milei si trattava di un’apologia di furto, “vietato dai dieci comandamenti”. Allo scontro in Vaticano che i suoi elettori si aspettavano, viste le premesse, Milei si è presentato con biscotti, dolci e un’abbondante profusione di sorrisi e di abbracci. Dopo l’incontro durato più di un’ora il presidente argentino ha definito il Papa “l’argentino più importante della storia”, presagendo un futuro di “dialogo molto fruttuoso”.
Un’inversione a u, nel solco della tradizione sovranista dove i leader invitano gli elettori a fare quello che dicono ma a non fare quello che fanno. Milei ha parlato semplicemente di “pacificazione e fraternità”, che sono i nomi con cui i populisti si augurano di preservarsi al potere il più a lungo possibile, appena arrivati lì.