Alla fine la vittoria al referendum è stata sua e qualche volta i conti tornano: Luigi Di Maio è stato l’unico leader che c’ha messo la faccia, affastellando ben 14 comizi in pochi giorni, girando l’Italia come una trottola e, soprattutto ha dato una lezione di coerenza, in questo insieme a tutto il Movimento 5 Stelle che è riuscito a portare a segno una “riforma storica” – come ha detto l’ex capo politico – che allinea l’Italia alle grandi democrazie mondiali.
Il “sì” non solo ha tenuto, ma ha dimostrato, nonostante una tardiva e fumosa campagna contraria orchestrata mediaticamente e sapientemente negli ultimi giorni, di aver superato i pronostici di risalita del fronte avverso. Diverso invece il comportamento di tutti gli altri leader, a cominciare proprio dagli alleati del Pd. Nicola Zingaretti non è andato oltre ad una direzione in cui si è sancita la “linea” – come si diceva una volta nel vecchio Pci -, ma poi in giro non si è visto proprio. Sappiamo che la storia della sinistra, a partire da Umberto Terracini dopo la Costituente e per approdare allo stesso Pd, ha sempre ritenuto che “più parlamentari ci sono meglio è” per motivi di supposta democrazia e questo può forse spiegare – ma non giustificare – la timidezza nel suo spendersi.
Nel centrodestra, invece la posizione di Giorgia Meloni e Matteo Salvini è stata quella di un “sì” ufficiale, ma probabilmente non si è molto lontani dal vero se si ritiene che nelle sacrestie di questi partiti si sperasse per il no, perché meno posti in Parlamento significa meno possibilità di placare gli insaziabili appetiti dei politici e quindi significa poi avere meno appoggi personali. Più corretto, da questo punto di vista, è stato Silvio Berlusconi e il suo partito, Forza Italia, che ha lasciato sostanziale libertà di voto, ma schierandosi poi più per il “no”. Tornano quindi a Di Maio è giusto che raccolga il lauro per il risultato ottenuto e, soprattutto, per il grande impegno profuso con determinazione, carattere, costanza e maturità.
La vittoria di Di Maio apre anche la strada ad ruolo guida negli Stati Generali a dimostrazione che la sua è una marcia in più rispetto a tutti gli altri colleghi del Movimento. Non si sa se la futura leadership sarà collegiale o no, resta il fatto che Di Maio anche come primus inter pares, si è ripreso pienamente la scena politica.