Volgograd. Un “enorme, labirintico, anonimo non-luogo” che “si trova qui ma anche in mille altre città in giro per il mondo”. Volograd è dappertutto. Non solo a Roma. Esattamente come i suoi personaggi che si alternano tra immagini, ritratti ed episodi chiaro-scurali dove a prevalere, nella maggior parte dei casi, sono uomini vinti dalla vita che ricordano ed esaltano le loro piccole vittorie. Come nel caso di Francesco, che è riuscito ad evadere dalla Caienna, “proprio come Papillon”. O come Pasquale, il vigilante aspirante giallista. O come, ancora, il direttore del giornale che in zona Cesarini è riuscito ad ottenere un ruolo apicale, “grazie a Dio e soprattutto all’Onorevole”.
I ritratti che Luigi De Pascalis brillantemente tratteggia in Volgograd. Storie di ordinaria periferia non possono non colpire. Pennellate autentiche che fanno sorgere il dubbio se siano frutto della penna dell’autore (e della matita dell’illustratore) o se siano scene reali, nitide nella loro inquietudine. Soltanto scorrendo il libro e divorando pagine, si scopre che realtà e finzione si mischiano, in un gioco verosimile che rappresenta l’umano più reale. Perché a Vologograd non ci sono che palazzi squadrati, qualche sportello bancario e immensi centri commerciali, esattamente come in ogni periferia d’Italia e del mondo. E nel suo microcosmo si muovono le vite degli altri che sono le vite di tutti.
Di Don Fernando morso dai dubbi della fede ma che si trascina avanti. Di Aldo, che arriva ad un passo dal suicidio semplicemente per noia. Di Mariam, rapita all’Africa per farne una prostituta, e di un fratello che la cerca, guardando il cielo ormai privo di stelle e di un dio, qualunque esso sia. Di Biagio, che lascia la famiglia per una trans, nel tentativo di rivivere emozioni che non troverà. Tutti in cerca del senso della vita. Quello che De Pascalis in realtà offre al lettore è una galleria di specchi dove guardarsi e ritrovarsi. Perché la storia degli ultimi, in realtà, è la storia di tutti. Momenti di disperazione che si alternano al tentativo (spesso vano) di riscatto. Volgograd, dunque, riflette all’infinito l’ambigua complessità dell’esistenza. Perché “il tempo non fa sconti, ma qualche volta fa prestiti”. Non resta che interrogarsi sull’esistenza. Ed è questo il senso più profondo del vivere umano. A prescidenre da quale sia la risposta.