La notizia della delibera dell’Agcom nei confronti della Rai è sulla bocca di tutti, con diverse trasmissioni della tv pubblica finite nel mirino dell’autorità garante. Le motivazioni alla base di questa sanzione riguardano più aspetti: in primis dato poco spazio al M5S e, più in generale, una carenza di contraddittorio; ma anche la qualità della programmazione. Una questione che sta facendo molto discutere, anche – e soprattutto – per il peso dei programmi e dei giornalisti coinvolti. Tra questi figurano, ad esempio, un notiziario nazionale quale il Tg2 di Gennaro Sangiuliano, ma anche contenitori dal largo pubblico come La vita in diretta e Unomattina in famiglia.
Persino l’ultima edizione del Festival di Sanremo è stata citata per una “scorretta rappresentazione dell’immagine femminile”. Analizzando i vari elementi del caso, oltre alla sanzione corposa da un milione e mezzo di euro, quello che balza all’occhio è il lungo e articolato provvedimento: un documento che ha tutti i crismi per essere inteso come una vera e propria “lezione” inflitta alla Rai su come debba essere eseguito il servizio pubblico. Facendo un passo indietro, chiariamo l’identità e i compiti di una realtà centrale nel mondo dei media come l’Agcom, l’Autorità garante per le comunicazioni: l’obiettivo primario è quello di supervisionare il mondo della comunicazione e, nel caso specifico della Rai, garantire un corretto equilibrio mediatico tra le varie forze politiche del nostro paese, nonché il rispetto dei principi di pluralismo, obiettività, completezza, imparzialità e indipendenza.
Ad esempio, durante il periodo delle elezioni l’authority verifica che sia rispettata la par condicio e il seguente silenzio elettorale. Ciò nonostante, questa presa di posizione netta nei confronti della Rai ha stupito – e non poco – gli addetti ai lavori. Finanche Bianca Berlinguer, una professionista da sempre nota per le proprie posizioni pacate e mai sopra le righe, ha stigmatizzato l’accaduto durante il suo Cartabianca. È innegabile quanto il servizio pubblico detenga elevate responsabilità nei confronti dei cittadini e, al contempo, è palese un generale scadimento del livello delle trasmissioni. Ciò soprattutto negli ultimi anni, in cui il cosiddetto infotainment sembra aver prevalso su un’informazione puntuale e imparziale. Ma la domanda che sorge spontanea è: effettuare una “rieducazione” delle varie trasmissioni è compito dello Stato – sebbene, a onor del vero, l’Agcom sia indipendente?
Una domanda quantomai necessaria, in grado di sollevare questioni di rilievo nel sempre più complesso panorama dei media. Arrivati a questo punto, con il garante che decide di agire in tal modo, non vi è il rischio di un’eccessiva interferenza sull’autonomia di autori e giornalisti? Nessuno mette in discussione che la multa sia stata inflitta alla Rai e non a un giornalista specifico – e in effetti l’Agcom non ne avrebbe il potere – ma tutta la questione è scaturita da critiche rivolte contro direttori e giornalisti specifici. Un’azione che può comunque danneggiare in maniera indiretta i professionisti coinvolti. Per questo motivo, la Rai ha deciso di ricorrere al Tar contro questa sanzione, accusando il garante di aver adottato comportamenti lesivi nei confronti delle libertà editoriali e di impresa. Anche l’Usigrai, l’Unione Sindacale Giornalisti Rai, ha deciso di pronunciarsi in proposito, affermando quanto la delibera dell’authority rappresenti un grosso errore, oltre che un precedente davvero pericoloso.