L’epopea di Chiara Ferragni è stato il tema del primo speciale lanciato dal neo direttore di Rai 2 Ludovico Di Meo. Un lungo documentario presentato poco più di un anno fa alla Mostra del Cinema di Venezia, girato dalla brava regista Elisa Amoruso e trasmesso in prima serata lunedì sera. Un’ora e mezza circa in cui l’intento è stato cercare di sviscerare le ragioni del successo della giovane influencer cremonese, a tutti gli effetti una delle icone delle nuove generazioni. Nonostante alcune critiche – il Codacons ha diffidato la Rai a trasmettere quello che, a torto o a ragione, ha giudicato come uno “spot diseducativo” – la fattura del prodotto è buona e la regista ha mestiere; Chiara Ferragni: Unposted inizia ovviamente dall’infanzia della regina della moda, un collage di video realizzati alla fine degli anni ‘90, quando Chiara era ancora bambina.
Ritratti di una famiglia felice, momenti di relax e di piacevole intimità. La grinta e la determinazione della consorte di Fedez, fin da giovanissima, traspaiono da questi documenti. A soli 14 anni intuisce la potenza dei blog osservando le esperienze di altre influencer internazionali. Neanche maggiorenne, si reca negli Stati Uniti, dove gira le prime storie digitali e comincia a mietere i primi follower. La passione per la moda la travolge, tenta dunque di assistere alle sfilate più glamour. Da qui in poi le prime aziende le propongono una collaborazione e il fenomeno di The Blonde Salad decolla, diventando il successo mondiale che conosciamo oggi. C’è da dire che il documentario, più che sulla Ferragni, è incentrato sui meccanismi del successo che stanno dietro ai fenomeni digitali e, al netto della lungaggine del lungometraggio (la parte con Fedez è la più noiosa), l’obiettivo sembra centrato.
Il messaggio è chiaro e scandito per tutto il percorso: anche nel web, se non hai regole e disciplina non vai da nessuna parte. Lo dice a più riprese la stessa protagonista, che specifica anche come il suo scopo sia stato soprattutto quello di distinguersi, concetto reso chiaro dalla frase “il mio obiettivo non è mai stato diventare famosa, ma semplicemente fare qualcosa di diverso dagli altri”. La seconda lezione per i più giovani è che dai “no” e dalle bocciature si può sempre imparare. Qui la Ferragni fa propria la lezione di un’altra star – e che star – come Madonna: “Sono diventata quella che sono grazie anche agli insuccessi”. In coda, il documentario ha proposto un’intervista realizzata da Simona Ventura, una protagonista del mondo della televisione che, a cavallo fra la fine degli anni ‘90 e l’inizio dei 2000, nei fatti è stata la Ferragni del piccolo schermo: dettava gusti e mode e interpretava in modo contemporaneo la filosofia del Girl Power, arrivando a essere spesso paragonata anche a Victoria Beckham.
E anche “Super Simo” non ha mai scherzato in quanto a frasi celebri, tanto che il suo motto è sempre stato “crederci sempre, arrendersi mai!”, che calza a pennello con quello che è stato lo spirito della trasmissione e, soprattutto, con l’attitudine della sua giovane e celebre ospite intervistata. La chiacchierata tra queste due icone femminili dei nostri tempi non ha aggiunto molto ai contenuti del film, ma è stata comunque gradevole perché ha messo a confronto la celebrità post moderna con quella più generalista e tradizionale degli scorsi decenni. In termini di ascolti la scelta non sembra aver pagato, dato che il riscontro è stato solo del 3,7% di share: probabilmente l’eccessiva durata del docu-film non è stata apprezzata dal pubblico, che forse di questi tempi preferisce qualcosa di più sobrio e meno “luccicante”.
Tuttavia, il film sulla Ferragni, oltre a diventare un cult per i suoi milioni di fan, può servire ai più giovani soprattutto per capire come la strada verso il successo nel nuovo mondo dominato dai social non sia una passeggiata in cui basta apparire, ma che ci vuole innanzitutto talento e molto, molto impegno. D’altra parte non si diventa imprenditori digital da milioni di follower senza questi fattori e senza – diciamolo – un corposo team alle spalle.