Mentre il mondo celebra con sollievo il cessate il fuoco a Gaza e gli aiuti umanitari iniziano finalmente a entrare nella Striscia, il Libano si sprofonda in una crisi umanitaria che il conflitto tra Israele ed Hezbollah ha reso un incubo senza fine. Da ottobre 2023, oltre 4.000 persone hanno perso la vita, tra cui 290 bambini, e più di 1,2 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case. Un’agonia che si innesta su un contesto già fragile, dove più della metà dei 5,5 milioni di abitanti dipendeva dagli aiuti umanitari già prima del conflitto.
La fame e l’istruzione negata: una generazione in pericolo
Secondo Save the Children, quasi un terzo dei bambini in Libano – il 29% – affronta livelli critici di fame. Per alcuni, significa essere spinti al lavoro minorile per sostenere le proprie famiglie. Il conflitto ha devastato la produzione agricola e le catene di approvvigionamento, facendo esplodere i prezzi alimentari. Baalbek, città storica, è diventata il simbolo della tragedia: qui, per la prima volta, si registrano condizioni di emergenza alimentare di Fase 4 secondo l’IPC. Famiglie disperate contraggono debiti insostenibili o ricorrono a strategie estreme per sopravvivere.
Le comunità di rifugiati palestinesi e siriani sono tra le più colpite: il 40% vive in condizioni di fame di livello crisi o emergenza. Le testimonianze lasciano senza fiato. Aisha, madre di tre figli, racconta: “Sopravviviamo solo con il pane. Frutta e verdura sono un lusso. I miei figli non vanno a scuola e mio marito, dopo un incidente, non può più lavorare”. Una frase che racchiude l’orrore quotidiano.
L’emergenza non si ferma alla fame. Sei anni di instabilità politica, pandemia, l’esplosione al porto di Beirut e scioperi degli insegnanti hanno interrotto l’istruzione di un’intera generazione. Un bambino su quattro sotto i cinque anni vive in grave povertà alimentare, con danni irreversibili sulla salute e sullo sviluppo. “Sono scampati alle bombe solo per affrontare fame e malattie. Non possiamo permettere che questa diventi la nuova normalità”, avverte Jennifer Moorehead, direttrice di Save the Children in Libano.
Dall’ottobre 2023, Save the Children ha intensificato gli sforzi, supportando più di 175.000 persone, tra cui 70.000 bambini, con cibo, protezione e alloggi. Ma è una goccia nel mare di bisogni. L’organizzazione ha lanciato un appello per garantire che il cessate il fuoco duri e che gli aiuti raggiungano chi ne ha disperato bisogno, senza ostacoli burocratici o politici.
Tensione al confine: il fragile equilibrio del cessate il fuoco
Intanto, sul terreno, la situazione resta tesissima. Secondo le agenzie locali, nelle ultime ore bulldozer israeliani hanno raso al suolo strade e infrastrutture nei quartieri interni di Maroun el Ras, a sud del Libano, mentre carri armati si sono spinti verso la periferia di Bint Jbeil. Una casa è stata colpita da una granata, testimoniando come il cessate il fuoco sia tutt’altro che stabile. Mentre l’esercito libanese continua il suo dispiegamento nel sud, l’emittente saudita Al Arabiya ha rivelato che non esistono discussioni concrete per estendere il termine dei 60 giorni previsti per il ritiro israeliano. Un equilibrio precario, pronto a crollare al minimo segnale.
Nel frattempo, il Libano è lasciato a gestire il peso insostenibile di una crisi che si aggrava di giorno in giorno. L’inerzia internazionale è un fattore aggravante: mentre i riflettori globali si spostano altrove, chi vive nelle zone più colpite continua a combattere per la sopravvivenza, in un contesto dove l’emergenza è ormai la regola. Il futuro del Libano non si deciderà nei vertici internazionali ma nella capacità di affrontare questa tragedia con interventi concreti e immediati, che finora restano tragicamente insufficienti.