Sicuramente a una cosa la Giornata mondiale dell’acqua è servita: renderci conto delle proporzioni della catastrofe in un Paese che si azzanna su un muro sporco. Resta da vedere se ora che si sono spente le luci sul tema, in attesa della prossima giornata mondiale il prossimo anno, qualcuno avrà voglia di studiare le possibili soluzioni, magari smettendo con la divertita idiozia con cui un pezzo di classe dirigente assiste allo sfacelo negando l’innegabile.
Entro il 2030 non ci sarà più acqua dolce per tutti, con la domanda che supererà del 40% le disponibilità
Mentre ieri il senatore leghista Claudio Borghi irrideva la sintesi finale del sesto rapporto Ipcc sulla crisi climatica (“Fate presto. Solo per questo mese in omaggio il set di piatti o la pratica rostiera”, ha scritto il senatore di Salvini, con grande giubilo dei suoi elettori) la Commissione globale sull’economia dell’acqua, istituita dal Forum economico globale di Davos del 2022 ci avvisava che entro il 2030 non ci sarà più acqua dolce per tutti, con la domanda che supererà del 40% le disponibilità.
Lì dentro si legge – come sostiene la stragrande maggioranza della comunità scientifica – che i disastri a cui abbiamo assistito recentemente, come le inondazioni in Pakistan, vanno considerati come un’anticipazione di ciò che in futuro accadrà sempre più spesso. Uragani, alluvioni e ondate di caldo e siccità possono spazzare via, nell’arco di poche settimane, i progressi in termini di sviluppo che sono stati faticosamente costruiti nell’arco dei decenni. E gli eventi estremi sono solo un piccola parte del problema.
Più di 2 miliardi di persone non hanno accesso ad acqua gestita in modo sicuro
Ad oggi, su una popolazione globale di 8 miliardi di persone, più di 2 miliardi non hanno accesso ad acqua gestita in modo sicuro. Ogni 80 secondi, un bambino al di sotto dei cinque anni muore per malattie legate all’acqua contaminata. La scarsità di acqua, unita all’impennata dei prezzi alimentari, ha fatto precipitare intere comunità del sud del mondo in una condizione di grave insicurezza alimentare. Anche sulle responsabilità il report è molto chiaro: “Stiamo osservando – si legge – le conseguenze non di eventi inusuali, né della crescita della popolazione e dello sviluppo economico, ma della nostra cattiva gestione dell’acqua a livello globale, durata per decenni. Abbiamo modificato i cicli delle precipitazioni e non siamo riusciti a proteggere gli ecosistemi di acqua dolce, a gestire la domanda per evitare il sovraconsumo, a evitare la contaminazione, a favorire il riciclaggio e a sviluppare e diffondere tecnologie per il risparmio idrico”.
Dal 2010 al 2018 si sono registrati 263 conflitti nel mondo per il controllo dell’oro blu
Cosa produce la mancanza d’acqua? La guerra, come già accade. Nel rapporto dell’Unesco The United Nations world water development report 2019: leaving no one behind (“Nessuno sia lasciato indietro”) si spiega che “in un contesto segnato da un aumento della domanda (più 1% all’anno dagli anni’80) si è verificato un aumento significativo dei conflitti legati all’acqua. Tra il 2000 e il 2009, ne sono stati censiti 94. Tra il 2010 e il 2018, si è arrivati a 263”, rimarca il rapporto. “Se non si inverte questa tendenza, con l’aumentare della popolazione nelle zone povere del mondo (la popolazione africana, stimata oggi in circa un miliardo e 200 milioni di persone, è destinata a raddoppiare entro il 2050) e l’inasprirsi delle conseguenze dei cambiamenti climatici, in futuro sempre più conflitti saranno causati per guadagnare l’accesso all’acqua”.
Ismail Serageldin, ex vicepresidente della Banca Mondiale, nel 1995 ci avvertì: “Se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo avranno come oggetto l’acqua”, disse. Poiché la disperazione e l’inarrestabile voglia di sopravvivere delle persone concorrono al naturale fenomeno delle migrazioni potremmo interrogarci su un mondo in cui il 43% delle scuole non dispone di acqua, come ci ha raccontato ieri la ong WeWorld. Intanto in Italia più della metà dei comuni italiani (57,3%) ha perdite idriche totali in distribuzione uguali o superiori al 35% dei volumi immessi in rete.
Perdite ingenti, pari ad almeno il 55%, interessano il 25,5% dei comuni. In meno di un comune su quattro (23,8%) le perdite sono inferiori al 25%. Nel 2020, il volume delle perdite idriche totali nella fase di distribuzione dell’acqua, calcolato come differenza tra i volumi immessi in rete e i volumi erogati, è pari a 3,4 miliardi di metri cubi, il 42,2% dell’acqua immessa in rete. E quest’anno per la prima volta il razionamento dell’acqua arriva al Nord (a Verona) come non accadeva dal 2010. Il 38% delle risaie e delle coltivazioni è a rischio per la siccità. Di acqua, volenti e nolenti, toccherà parlarne tutti i giorni dell’anno. Con buona pace dei negazionisti che siedono sui banchi della maggioranza.