E non a caso sul telefonino di Youssef Zaghba vennero trovati video di propaganda dell’Isis, sermoni religiosi: gli indizi di un’adesione alla jihad.
La madre, che vive tuttora a Bologna, spiegò alla polizia che il ragazzo le aveva detto di volere andare a Roma, chiedendole i soldi per il biglietto, e non le aveva mai parlato di Turchia. La procura dispose il sequestro del suo cellulare. Il pm decise anche di perquisire l’abitazione della donna, portando via un computer e altro materiale informatico ritenuto di interesse per le indagini. Il giovane, però, si rivolse a un avvocato e presentò istanza al Tribunale del Riesame: un ricorso accolto, perché i giudici non avrebbero ritenuto sufficienti gli indizi per formulare un’accusa di terrorismo. Non si procedette con un provvedimento di espulsione, come avviene nel caso di stranieri sospettati di adesione ai valori della jihad. Il nome però venne inserito nella lista dei soggetti pericolosi e tenuto sotto controllo.
E qui il punto: il nostro Antiterrorismo sostengono, come riporta Repubblica, di avere condiviso tutte le informazioni raccolte all’epoca con l’intelligence britannica. Ma da Scotland Yard fanno sapere che Youssef Zaghba non era monitorato né dalla polizia né dall’Mi5.