Era il 250 a.C. e lo storico Strabone ci racconta che il console Lucio Cecilio Metello costruì un Ponte sullo Stretto di Messina collegando tra loro delle botti e facendoci passare sopra degli elefanti africani. Da allora l’idea di connettere l’Italia alla Sicilia non è mai tramontata e riemerge ciclicamente nel dibattito politico. Il premier Giuseppe Conte ne ha parlato pochi giorni fa affermando che, insieme all’alta velocità, analizzerebbe senza pregiudizi anche il Ponte sullo Stretto. Una cosa è certa: l’Italia ha una economia messa in ginocchio da tre mesi di chiusura e si prevedono tonfi catastrofici fino al 15% del Pil e quindi l’unica ricetta per ripartire è quella di un forte intervento keynesiano dello Stato sull’economia che possa rimettere in moto il lavoro soprattutto in regioni, come il Sud, già strutturalmente in difficoltà ancor prima del virus.
E ben vengano anche le reti ad alta velocità che possano rappresentare un volano per lo sviluppo e la ripresa. Tuttavia, in frangenti come questi, e già si sono avute situazioni simili in passato, occorre, nel contempo, prestare la massima attenzione anche al lato ecologico della questione, senza peraltro cadere in dogmatismi anacronistici come quelli del ministro Sergio Costa. Celebrare i fasti uniti di Prometeo e Gaia, l’ingegno umano e la natura, è la sola via percorribile in una società sempre più attenta oltre che alla quantità anche alla qualità. Detto questo c’è anche da dire che al Sud servono tante cose prioritarie come, ad esempio, la modernizzazione della rete ferroviaria proprio in Sicilia e Calabria, la manutenzione delle strade e l’approvvigionamento idrico adeguato.
La storia del Ponte attraversa tutta la politica della Repubblica e Bettino Craxi, anticipato nel 1982 da Claudio Signorile ministro dei trasporti, nel 1985 annuncia che si farà e la società Stretto di Messina Spa firma una convenzione con Anas e Fs. Nel primo governo Berlusconi il ministro Publio Fiori ci riprova, ma ancora niente, nel 2007 il governo Prodi II stava per ritirare lo Stato da un contratto con Impregilo, ma il ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro si oppose affermando che altrimenti si dovevano pagare delle penali. Ora, forse, si apre un nuovo capitolo.