La sostenibilità come pilastro dello sviluppo economico, ma anche come risorsa prioritaria e virtuosa per affrontare e superare le fasi emergenziali e di crisi: sono, in sintesi, alcune delle indicazioni emerse nella tre giorni di lavoro del Salone della Csr e dell’innovazione sociale che si è svolto a Milano, negli spazi dell’Università Bocconi. Ma che la sostenibilità da tematica di nicchia, come era percepita all’inizio degli anni 2000, si afferma oggi come elemento culturale che ridefinisce il modello stesso di impresa e il suo ruolo nella società e segna le abitudini dei consumatori ce lo dice anche una ricerca Ipsos commissionata dal Salone.
La sostenibilità come pilastro dello sviluppo economico: l’indagine Ipsos
Secondo l’indagine Ipsos, condotta su un panel rappresentativo di mille persone over 16 e su un campione di 147 organizzazioni e imprese scelte tra le partecipanti al Salone della Csr, quasi 2 italiani su 3 si dichiarano pronti a spendere di più per un prodotto sostenibile, mentre quasi la metà vorrebbe comprendere se un’azienda è realmente impegnata nella sostenibilità (48% rispetto al 38% del 2018).
Nel complesso la consapevolezza della popolazione sulla sostenibilità è cresciuta dall’8 al 37% in 10 anni. Dalla ricerca emerge che le imprese sono capaci di definire il proprio impegno al pubblico (+14% rispetto a 10 anni fa) grazie ad un approccio sempre più sistemico e strategico, oltre alla consapevolezza dei dirigenti aziendali (59%), che ha comportato la creazione di divisioni dedicate alla responsabilità sociale. Questo anche per rispondere alle richieste sempre più specifiche dei consumatori, che nelle scelte d’acquisto mettono al primo posto l’impatto ambientale dei prodotti, seguito dal rispetto dei lavoratori e delle leggi, oltre all’eticità dell’azienda.
L’approccio delle persone al tema e le linee guida per il futuro
E alla domanda “come si pongono gli italiani rispetto alla sostenibilità e quanto si mettono in gioco per assumere comportamenti responsabili”, l’indagine risponde con l’identificazione di quattro tipologie di persone: i sostenitori, gli aperti, gli scettici e gli indifferenti.
I primi sono i più virtuosi: credono nei valori della sostenibilità e agiscono di conseguenza. Dal 2018 al 2022 sono passati dal 20% al 23%, mentre al contrario gli indifferenti, che dimostrano scarso interesse al tema, sono scesi dal 17% al 14%. Ciò significa che la sostenibilità sta passando dall’essere elitaria, circoscritta, ad essere sempre più diffusa, mainstream. Emergono però anche delle complessità. Il numero degli aperti, ovvero le persone orientate verso comportamenti più responsabili, è sceso dal 50% al 41%, mentre sono passati dal 13% al 22% in quattro anni gli scettici, persone dubbiose che l’enfasi posta sulla sostenibilità nasconda solo finalità commerciali.
A tracciare le linee guida per il futuro sono cinque parole chiave: gender gap, climate change, sharing economy, carbon neutrality ed energia rinnovabile.
Secondo aziende e popolazione, a dare i maggiori contributi nei prossimi dieci anni saranno le istituzioni europee e sovranazionali (58% per le aziende e 39% per la popolazione), oltre ai consumatori, attraverso le proprie scelte di consumo (61% e 53%), e alle grandi imprese (54% e 52%).
Alte aspettative anche per il settore bancario-finanziario con gli investimenti in Esg, vale a dire Environmental, Social, Governance (58%), mentre la popolazione scommette sull’impegno delle istituzioni pubbliche nazionali (47%), anche grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Quanto alla riduzione dei consumi di energia, gas e acqua, più della metà della popolazione italiana pensa che tra 20 anni “saremo in grado di svilupparci rispettando ambiente e persone”.