In Sicilia il caldo non è solo per la temperatura, le prossime elezioni regionali ormai scottano da un po’ e sia nel centrodestra che nel centrosinistra si respira una brutta aria.
Elezioni in Sicilia, in vista delle prossime regionali, sia nel centrodestra che nel centrosinistra si respira una brutta aria
Nello Musumeci, attuale presidente della Regione Sicilia, annuncia un “passo di lato” in vista del prossimo vertice nazionale del centrodestra rimettendo il suo nome per la ricandidatura sul tavolo, ma senza insistere troppo sulla sua riconferma.
Una posizione che è già diversa da pochi giorni fa quando aveva lasciato intendere di volersi dimettere, togliendo “il disturbo”: “Sono un presidente scomodo in una terra che finge di voler cambiare – dice Musumeci -. Sono un presidente discusso dagli alleati e divisivo pur risultando vincente in tutti i sondaggi. È un paradosso, ma questa è la terra dei paradossi, la terra delle contraddizioni, non dimenticate Sciascia, non dimenticate Pirandello”.
Musumeci punta il dito contro il coordinatore di Forza Italia Gianfranco Miccichè (pur senza citarlo) che negli ultimi mesi ha ripetuto in più occasioni di ritenere quella di Musumeci una candidatura troppo debole (“Contro Musumeci vincerebbe anche un gatto”, si è spinto a dire).
“Tutti i sondaggi mi danno vincente, – ha detto Musumeci nella conferenza stampa convocata ieri a Palazzo dei Normanni – eppure per alcuni miei alleati io rimango un candidato divisivo, voi direte che i sondaggi si prendono con le pinze. Ma se il sondaggio contrasta la tesi ricorrente da parte di qualche vicino di casa, chi perde credibilità non è il sondaggio ma il vicino di casa – conclude Musumeci, lasciando intendere che il percorso del centrodestra è già pieno di fango -. Spero mi si dica presto, se non dovessi essere io il candidato, la verità, ma forse se qualcuno dicesse la verità il centrodestra pregiudicherebbe la prossima vittoria”.
Nel campo opposto risuonano malinconiche le parole con cui il segretario del Pd siciliano Anthony Barbagallo aveva lanciato qualche giorno fa “le primarie del campo progressista”. In quell’occasione al suo fianco per presentare le votazione del candidato del centrosinistra fissate per il 23 luglio c’erano Nuccio Di Paola, coordinatore del M5s, Claudio Fava leader di Cento passi, Nino Oddo per il Psi, Pierpaolo Montalto di Sinistra Italiana, Mauro Mangano per Europa Verde e Pizzo Zappulla per Articolo Uno.
Le primarie prevedevano che si potessero presentare le candidature fra il 23 e il 30 giugno e dovrebbero essere gratuite. Per Fava (uno di quelli che ha già annunciato la sua candidatura) le primarie sono una “parola al plurale, una parola inclusiva”. Di Paola, capogruppo M5S all’Ars solo pochi giorni fa aveva definito il passaggio delle primarie “innovazione politica che come tutte le innovazioni ha i suoi travagli”.
Da ieri però è cambiato tutto. L’uscita di Di Maio dal Movimento con un nuovo gruppo in Parlamento ha due effetti immediati. Rimette in discussione il cosiddetto fronte progressista su cui giuravano fino a poche ore fa Enrico Letta e Giuseppe Conte (cominciano a essere troppi i dissidi da dissipare) e impattano sui gruppi locali del Movimento che in queste ore sta consumando la separazione anche sui territori.
Nessuno lo dice apertamente ma il “campo largo” sembra non essere mai stato in bilico come ora e la Sicilia, ancora una volta, rischia di essere un “laboratorio politico” dei problemi nazionali. Ora non resta che aspettare che si pronuncino i leader ma da queste parti si rivive la sensazione di essere ancora secondari alle scelte delle segreterie. Alla fine sarà un sfida tra chi è messo meno peggio, ancora una volta.