La nascita delle radio libere. Che tempi Gigio… “Ho cominciato a 16 anni – dice Gigio D’Ambrosio con quel pizzico di nostalgia che non può nascondere – quando Radio Milano International era nata da appena sei mesi, il 10 marzo 1975. Rapidamente ci siamo resi conto che sarebbe stato un cambio epocale nel mondo della comunicazione, a seguire nacquero le televisioni private. Avevamo la sensazione che qualcosa stesse cambiando, anche se in modo radicale solo all’inizio degli anni ‘80, quando si è capito che era un mestiere, una nuova industria dell’intrattenimento che poi ci ha messo troppi anni e molte peripezie legislative prima di essere riconosciuta come regolare”.
Le radio locali sono state un vivaio per molti nomi importanti; adesso che stanno via via scomparendo, da dove potranno attingere le nazionali?
“La radio è nata, è cresciuta, si è sviluppata, perché era libera e quindi, finché lo è stata e i conduttori hanno avuto la possibilità di esprimere le loro capacità, i talenti sono nati, cresciuti e si sono affermati. C’è stata una sorta di inversione di tendenza rispetto alla televisione. La tv a quei tempi era molto bloccata, molto censurata. Oggi, invece, è libera nei linguaggi e nei contenuti. La radio, all’opposto, si è omologata ed è diventata tragicamente troppo politically correct e quindi i talenti, ammesso che ce ne siano, e ce ne sono, non hanno più la possibilità di esprimere le proprie capacità come avevamo noi ai nostri tempi. Non è un caso che i conduttori più famosi siano tutti di quella generazione; è difficile scovare un talento che abbia meno di 40 anni”.
Il boom della radio è dipeso dalla diffusione della musica, dato che era l’unico modo per fruirne gratuitamente. Ora che la musica non è più l’attrattiva principale, come può questo mezzo continuare ad affascinare, soprattutto i giovani?
“Questo è oggi il problema delle radio, degli editori e dei grandi network. Credono ancora che la musica sia l’asset più importante e, invece, non lo è più. Ormai puoi sentirla dove, come e quando vuoi. Se gli editori si svegliano dal loro immobilismo e danno nuovamente spazio ai contenuti (che fanno la vera differenza) e alla creatività dei conduttori, c’è una chance che la radio rimanga uno dei media più importanti perché è ancora oggi la prima fonte di intrattenimento audio con valori imprescindibili. La radio fa compagnia, intrattiene, informa, è in diretta, fa sentire chi ascolta parte di una comunità. Il problema è invertire la tendenza che ha preso piede ormai da troppi anni, troppo spazio alla musica e poco ai contenuti. I primi programmi che vengono in mente sono “Deejay Chiama Italia”, “Lo Zoo di 105”, “La Zanzara”, “Il Ruggito del Coniglio”. Faccio fatica a ricordarne altri nei quali la musica non sia in posizione centrale. Gli editori che fanno le radio di flusso hanno come priorità la forza del brand ed è giusto che sia così. Però nel momento in cui cambiano mercato e gusti, i giovani si allontanano dalla radio, ascoltano i podcast (che sono contenuti), bisogna prenderne atto e adeguarsi, altrimenti si è destinati a perdere”.
Poi però hai fatto tanta carriera televisiva…
“Sono una delle voci dei promo di Mediaset. Dal 1985 faccio questo mestiere, ho prestato la mia voce per molti programmi, tra questi, in particolare, “Verissimo”. È un’altra traiettoria espressiva, un altro mestiere rispetto a far la radio, ma dà sempre soddisfazione anche se per altri motivi”.
Tredici anni a RTL conclusi da poco. Possiamo dire anni intensi? E che altro c’è all’orizzonte?
“È stata un’esperienza estremamente formativa e interessante, è un colosso e ho imparato molto. Appartengo alla generazione di conduttori per i quali ha senso fare la radio se si ha qualcosa da dire, non semplicemente per annunciare i titoli delle canzoni, dire che ore sono e il nome della radio, per questo non serve una particolare creatività o una grande fantasia. Ho preferito smettere quando mi sono reso conto di non avere più la libertà (che ho sempre avuto) di potermi esprimere come avrei voluto. Ho interrotto il rapporto rimanendo in ottimi rapporti. Ovviamente parlo per ciò che mi riguarda, proprio perché, come radio di flusso, ha delle caratteristiche, rispettabilissime e legittime, ma non appropriate a ciò che mi piace e che posso fare. Se dovesse capitare di trasmettere ancora, le idee e le possibilità non mancano, mi piacerebbe fare qualcosa di particolare e che abbia senso sia per me che per la radio che dovesse ospitarmi”.