di Fabrizio di Ernesto
Si fa sempre più tesa la situazione in Egitto, paese dove da giorni sono in corso proteste di piazza contro il presidente Mohamed Morsi che continua a trincerarsi sulle sue posizioni e che ha respinto l’ultimatum di 48 ore lanciatogli dalle Forze armate avvisando i militari che le loro posizioni non state minimamente prese in considerazione e che alcune frasi contenute nel testo recapitatogli “potrebbero creare confusione”. A detta del primo mandatario egiziano infatti una sua uscita di scena rischierebbe di causare confusione.
Nel frattempo però Morsi rimane sempre più solo dopo che il premier Hisham Qandil avrebbe rimesso, manca ancora l’ufficialità, il proprio mandato nelle mani del Presidente, come fatto anche dal ministro degli Esteri Kamel Amr, dopo che lunedì erano stati ben cinque i ministri a rassegnare le dimissioni e schierandosi al fianco dei manifestanti.
La ferma presa di posizione del numero uno de il Cairo rischia di esacerbare ancora di più gli animi ed a nulla sembra valsa la telefonata avuta ieri con Barack Obama, tra i primi fautori e sostenitori della Primavera araba che tre anni fa portò alla destituzione dell’allora presidente egiziano Hosni Mubarak e all’ascesa dei Fratelli musulmani, che ha rilasciato varie dichiarazioni in favore dell’esercito e dell’opposizione popolare.
In piazza contro il presidente
Anche ieri migliaia di egiziani si sono riversati nelle piazze nonostante i Fratelli musulmani appaiano quanto mai decisi a vendere cara la pelle, Mohamed al-Beltagui, leader dell’organizzazione islamista ha infatti chiesto agli egiziani di prepararsi a sacrificare la propria vita per prevenire quello che definiscono un golpe da parte dei militari; “Ciò che possiamo offrire ai martiri della precedente rivoluzione è ricercare noi stessi il martirio, per evitare un colpo di stato” sono state le sue parole che fanno presagire una nuova stagione di violenze politiche nello stato nord-africano.
Gerhad Haddad, portavoce dei Fratelli ha invece lasciato intendere che il suo gruppo potrebbe a breve ricorrere a comitati di autodifesa vista l’assenza delle forze di polizia a protezione delle loro sedi.
Sostegno al Presidente ed a suoi sodali arriva dal Iran con Hossein Amir Abdollahian, vice ministro degli Esteri del paese persiano che ha ricordato ai militari e ai manifestanti che Morsi è il presidente in carica eletto dal voto popolare e che l’unica possibilità delle forze armate per sostenere il percorso di riconciliazione nazionale da loro invocato è quello di rispettare la volontà degli elettori.
E mentre blindati e uomini in assetto antisommossa iniziano a essere avvistati per le vie de Il Cairo, i manifestanti hanno iniziato ad invocare il nome di Mohamed el-Baradei affinché l’ex premio Nobel diventi la voce dell’opposizione e soprattutto delinei uno scenario in grado di portare alla completa applicazione di una roadmap per la transizione politica del Paese; stando alle prime indiscrezione diffuse dallo Stato maggiore questo percorso prevedrebbe la sospensione della Costituzione e lo scioglimento del Parlamento, non a caso controllato dai sostenitori del presidente.
La Primavera araba due anni dopo
Ciò che sta avvenendo in questi giorni in Egitto sembra rappresentare il fallimento delle Primavera araba. In riva al Nilo la caduta di Mubarak ha infatti spalancato le porte del potere agli islamisti dei Fratelli musulmani che ha portato ad una perdita di laicità nel Paese. Due anni dopo quei drammatici giorni l’Egitto è di nuovo nel caos e la situazione questa volta appare molto più ingarbugliata. A livello internazionale l’ex Raís era sostanzialmente isolato, oggi invece Morsi, forte del sostegno dei Fratelli musulmani sembra poter contare sull’appoggio dell’Iran e di Hamas.
La polveriera Egitto quindi rischia di infiammare di nuovo tutto il Nord Africa, dando vita ad un nuovo effetto domino, prevedibilmente più cruento di quello del 2011.