di Nicoletta Appignani
e Fabrizio Di Ernesto
I primi spiragli di una soluzione alla crisi siriana arrivano dalla Russia, che tenta di fermare l’attacco militare Usa in Siria, proponendo di mettere sotto controllo internazionale gli armamenti chimici di Assad. Una soluzione che, per il momento, Damasco sembrerebbe accettare.
La nuova proposta
A suggerire la misura è stato il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, dopo che il segretario di Stato americano, John Kerry, al termine di un vertice con il ministro degli Esteri britannico William Hague, aveva provato ad offrire a Damasco una sorta di scappatoia: la possibilità di evitare un attacco “consegnando le sue armi chimiche alla comunità internazionale entro la settimana prossima”. Kerry continua a parlare di “prove reali”, che però fino ad oggi non sono ancora state mostrate al mondo. La proposta di Mosca, tuttavia, è stata accolta anche dagli Stati Uniti, pur con qualche riserva: “Esamineremo approfonditamente la proposta russa sulle armi chimiche in mano al regime siriano”, ha dichiarato Tony Blinken, vice consigliere nazionale alla sicurezza della Casa Bianca. Più duri invece i toni della consigliera alla sicurezza nazionale Susan Rice, che non sembra lasciare alternative all’attacco armato, parlando di “un’azione militare limitata”. La necessità di intervenire, per gli Stati Uniti, rivestirebbe un carattere di urgenza perché, sempre secondo la Rice, “solo Damasco ha la capacità di usare armi chimiche sulla scala che abbiamo visto il 21 agosto. Se non lo affrontiamo, lo farà di nuovo”. Sulla mediazione proposta dalla Russia si è pronunciato favorevolmente invece il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon che, comunicando di non aver ancora ricevuto la relazione degli esperti sulle armi chimiche, ha sottolineato “l’imbarazzante paralisi del Consiglio di Sicurezza sulla Siria”.
Nel frattempo gli Usa continuano il lavoro di persuasione dei cittadini americani. Martedì sera Obama parlerà alla Nazione, forse nella speranza di trovare l’investitura popolare che per il momento sembra mancare a questa guerra. E proprio l’opposizione interna, oltre a quella di gran parte della comunità internazionale, pare ora consigliare a Washington di tenere un profilo leggermente più basso. Inizialmente sembrava che l’attacco contro la Siria dovesse essere portato dai governi di Washington e Londra, ma dopo il voto contrario del Parlamento britannico, il Premier inglese, David Cameron, ha dovuto rivedere la propria posizione, anche se l’Inghilterra continua a sostenere l’interventismo statunitense. Hague ha ribadito che la visione strategica dei due paesi continua a coincidere, anche se Londra in caso di attacco militare non potrà sostenere l’azione statunitense, se non diplomaticamente. Appoggio che comunque Washington conta di sfruttare in sede Onu, anche se alla Casa Bianca la soluzione politica rimane sempre in fondo all’agenda. Questo perché, come ribadito da Kerry, “per anni la comunità internazionale ha tentato questo approccio con la Siria con esiti fallimentari”, motivo per cui “i rischi che comporta non agire in Siria sono maggiori di quelli di un’azione”.
In cerca di sostegno
Obama insomma gioca le ultime carte a sua disposizione. Martedì sera infatti terrà in prime time il discorso alla Nazione in cui dovrebbe illustrare le finalità dell’azione militare in Siria, nella speranza di ottenere il via libera dei suoi concittadini, che mai come in questa occasione appaiono contrari all’uso della forza. Mercoledì in Senato, infatti, si terrà il primo voto procedurale sulla continuazione della discussione sulla Siria. I numeri sono dalla parte del primo mandatario, anche se la fronda interna potrebbe costargli una clamorosa sconfitta. Ancora peggio potrebbe andare alla Camera, dove la maggioranza è in mano ai Repubblicani e perfino un numero sempre più consistente di democratici ha espresso l’intenzione di votare contro l’autorizzazione, motivando la decisione come un modo per rispettare il volere degli elettori.