Da giorni circola la proposta della “strana coppia” Roccella-Siffredi di vietare l’accesso alle piattaforme del porno ai minori, affidando a “terze parti” (e non di certo ai siti stessi) i dati sensibili di questi in un processo di controllo e monitoraggio che li protegga da contenuti non adatti alla loro età, i più severi direbbero a chiunque.
Del resto, è innegabile che la pornografia ai giorni nostri sia prevalentemente un distillato di violenza in cui la donna – ridotta a mero corpo da assoggettare – subisce la volontà maschile che talvolta si esercita in branco.
Questa pare sia una delle varianti maggiormente richieste dagli utenti che – in un meccanismo che si autoalimenta – sono sempre più avidi di immagini ed esperienze multimediali che superino nuovi limiti.
La proposta Roccella-Siffredi per vietare ai giovanissimi i video a luci rosse è un boomerang
Lo stesso Rocco Siffredi, sulla scena ormai da decenni, descrive una evoluzione del porno che anche solo fino a un ventennio fa prevedeva – seppur nella finzione del genere – una narrazione, la cura del contesto, la simulazione di una tensione sentimentale ed erotica che oggi hanno lasciato spazio solo alla brutalità. Non si tratta di giudizi estetici o di una censura ingiustificata, piuttosto è la necessità di porsi dei quesiti di carattere etico in merito al destino dei nostri ragazzi privi di coordinate culturali che gli consentano di orientarsi nel mare magnum della loro esistenza digitale e sessuale.
Gli stupri di gruppo di Palermo e Caivano, così come altre violenze documentate in questi anni di cronaca, hanno come comune denominatore la spettacolarizzazione della violenza attraverso le sue riprese. Non solo la violenza fine a se stessa, che già di per sé costituirebbe la suprema barbarie, ma la ripresa di questa con fini divulgativi perché se lo stupratore ha una scena in cui sentirsi protagonista indiscusso a danni della vittima, vuol dire che esiste un sistema e una rete che fruisce di quei contenuti in una dimensione di perversione e business come il deep web.
Sia a Caivano che a Palermo, qualcuno filmava gli stupri perché qualche altro voleva vedere quegli stupri. Nella distorsione valoriale che cancella il rispetto della persona ciò che conta è il consenso in rete e la possibilità di monetizzarlo. Non serve dunque grande acume per comprendere come la deriva di un sistema così onnipervasivo come il web non è possibile contrastarla con dei semplici divieti che, come psicanalisi insegna, in età evolutiva incrementano soltanto il desiderio di infrangerli per definire e affermare la propria individualità. La proposta di emanazione governativa e le basi su cui poggia sono certamente in linea teorica una valido modello che rischia però di essere l’ennesima misura spot che non conduce a nulla, se non al poter dire di aver fatto qualcosa (per quando inefficace risulti).
Ai ragazzi serve più educazione sessuale e non restrizioni
Non possiamo rispondere unicamente con il proibizionismo alla crisi delle nuove generazioni, spostando il problema. Gli stessi deprecabili contenuti prenderebbero a circolare su altri canali digitali ai quali sarebbe impossibile vietare l’accesso rivelando del tutto inefficace la misura. Bisogna lavorare sulla causa, non sull’effetto.
La vera risposta alla crisi generazionale dei nostri ragazzi è dotarli di strumenti critici che consentano loro di attraversare il mondo proteggendo se stessi e gli altri da rischi che possono diventare letali. La bolla dell’eterno presente costituita da internet, dove impera l’illusione che sia possibile che tutto accada senza produrre conseguenze, deve essere fatta scoppiare con la formazione culturale a partire dalle maggiori agenzie educative che restano – a dispetto di tutti i mutamenti – la scuola e la famiglia. Introdurre l’educazione digitale accompagnata da quella sessuale nei percorsi formativi dei nostri ragazzi sarebbe la prima efficace risposta al disagio sociale, quanti dubbi verrebbero fugati e quante false convinzioni superate prima che accada l’irreparabile.
Le parole non dette sull’amore. Più forti delle crociate contro la pornografia
In Europa, l’Italia è tra i pochi paesi (come ad esempio la Bulgaria e la Lituania) che non hanno mai introdotto l’educazione sessuale nelle scuole e quando si è parlato anche solo di inserire nei percorsi formativi delle ore destinate alla lotta alle discriminazioni, attraverso l’approvazione del tanto discusso DDL Zan, la destra ha subito gridato allo scandalo dell’avvento della teoria gender e si è unita in un coro di “lasciate stare i bambini”.
Ma i problemi nascono proprio quando lasciamo stare i bambini, non occupandoci di loro come dovremmo.
Oggi più che mai l’Italia ha bisogno di un ripensamento dell’offerta formativa scolastica all’insegna delle nuove grandi sfide del nostro tempo portando indirettamente le famiglie a cogliere la centralità di tale operazione anche nel loro percorso educativo in una sinergia che metta al centro il ragazzo. Occorre abbandonare la logica prestazionale dell’acquisizione di fredde competenze e valorizzare la formazione del cittadino, prima ancora che dello studente affinché civiltà e cultura siano un binomio inscindibile.