Archiviato il referendum e passate le feste, è suonata la campanella: la ricreazione è finita. E bisogna pagare il conto degli stravizi dell’era renziana. La commissione europea di Jean-Claude Juncker ha infatti chiesto al Governo Gentiloni una manovra di 3,4 miliardi di euro per rimettere i conti in sesto, dopo il via libera condizionato ottenuto dalla Legge di Bilancio: in quella fase bisognava appoggiare Matteo Renzi nella sua battaglia sulle riforme. Ma ora non c’è più motivo di concedere margini di deficit all’Italia. Così Bruxelles ha brandito la minaccia della procedura d’infrazione in assenza di un intervento in tempi brevi per limitare il deficit e di conseguenza il debito pubblico. Nemmeno il pericolo dell’avanzata dei 5 Stelle riesce più a fermare le pretese dei falchi del rigore, capitatati dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, e dal presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem.
Ammissione Padoan – Nel ruolo di mediatore per l’Italia c’è il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che vuole strappare almeno una dilazione dei tempi, visto che Bruxelles puntava a una manovra rapida, al massimo entro inizio febbraio. Padoan ha usato toni diplomatici per ammettere la necessità di un ritocco ai conti: “Vedremo se sarà il caso di prendere misure ulteriori per rispettare gli obiettivi, ma la via maestra è la crescita, che è la priorità del governo”. Il ministro ha poi ribadito: “Bruxelles ci ricorda che abbiamo un debito troppo alto che avrebbe dovuto cominciare a scendere da quest’anno”.
Imputato Renzi – L’Esecutivo aveva già spedito il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, a mostrare i muscoli all’Europa: “Non c’è la disponibilità a fare una manovra che comprima o deprima la crescita”. Ma al di là delle rassicurazioni, le dichiarazioni confermano che c’è un conto da saldare. E in qualche modo bisogna individuare le risorse senza incidere sulla già debole crescita. A poco serve anche la polemica sollevata dal responsabile economico del Pd, Filippo Taddei: “L’Europa deve decidere se stare dalla parte della creazione di lavoro e del sostegno alla crescita oppure se cedere a una globalizzazione che lascia più vinti che vincitori”. La patata bollente è al momento nella mani di Gentiloni e Padoan. Ma Renzi non può chiamarsi fuori: le opposizioni lo hanno già messo sul banco degli imputati. “Bonus e mancette, per i quali i soldi sembrano sempre trovarsi e la Commissione Ue ha chiuso colpevolmente un occhio, non sono serviti a Renzi per vincere il 4 dicembre. Gli italiani non si sono fatti imbrogliare ma ora rischiano di pagare le conseguenze di quelle politiche scellerate”, hanno attaccato i deputati della Commissione Bilancio del Movimento 5 Stelle. Pure da Forza Italia è stato chiesto un atto di discontinuità rispetto al passato: il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, ha teso una mano in cambio di un confronto franco: “Chiarezza e trasparenza sono la premessa del buon governo. Padoan venga in Aula a dire come stanno le cose”.