C’è quell’imbarazzante immagine di Mark Zuckerberg che con occhi da cane bastonato annuncia di liberare Facebook e Instagram contro “l’oppressione della cultura woke”. Il proprietario di Meta, che distilla gli algoritmi di quello che dobbiamo vedere su Instagram e Facebook, ha affermato che la società e il mondo aziendale sono diventati “castrati” ed “emasculati”, sottolineando che la cultura aziendale si è allontanata dall’energia maschile, che lui considera positiva e necessaria accanto a quella femminile.
Jeff Bezos, proprietario di Amazon, aveva acquistato il Washington Post per promettere di rispettare lo slogan sotto la testata: “la democrazia muore nell’oscurità”. Poi ha abbracciato l’oscurità perché l’importante è che non muoia il fatturato. Walt Disney corre a baciare la pantofola a Trump. Ieri il NY Times ci ha fatto sapere che le grandi banche abbandonano i gruppi che lottano contro i cambiamenti climatici prima del mandato di Trump, Federal reserve inclusa.
L’idealizzazione delle aziende nella speranza che potessero diventare alfieri dei diritti civili si è sgretolata nel giro di qualche settimana. È il risultato della politica che manca. Affidarsi a Walt Disney per chiedere la valorizzazione dei diritti Lgbt significa lasciare le mani libere ai partiti che chiedono voti per la difesa dei diritti. Ai politici bastava indicare cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato, dove acquistare, cosa boicottare. Le aziende costruivano narrazione per vendere e la politica la scambiava per idealismo.
La politica deve fare politica, non narrazione. Altrimenti chi ha la narrazione che solletica meglio gli intestini vince. Come Meloni, come Trump. E i diritti passano di moda.