di Francesco Nardi
E’ la Repubblica fondata sulle fondazioni. E in particolare su quelle che i politici hanno fatto nascere e proliferare negli ultimi anni. Fondazioni di area, di corrente o anche trasversali, poco importa: l’importante e averne sempre di più, e farle funzionare. Ma funzionare come, e con quali soldi? La legge che ne regola il funzionamento non le obbliga a dare spiegazioni in merito e a chi ne osserva gli sfarzi, in alcuni casi notevoli, non resta che valutarne la contiguità politica, come mero fatto che però nulla dimostra.
Il fenomeno è diffuso a tutte le latitudini politiche, da destra a sinistra. Si va da Quagliariello che presiede Magna Charta, a suo tempo fondata dall’ex presidente del Senato Marcello Pera, a Giuliano Amato che preside la dalemiana Italiani europei. E poi da Res Pubblica di Tremonti a Democratica di Walter Veltroni.
Me ce n’è davvero per tutti e l’elenco è lunghissimo, segno che i fondi per farle funzionare non mancano, specie in quei casi in cui le attività delle fondazioni si confondono con quelle del movimento politico di riferimento al punto da non riuscire a distinguerne i tratti.
Ma perché tanti esponenti politici di rango sentono il bisogno di dotarsi di una fondazione? Il primo motivo è di ordine politico: i partiti hanno cambiato pelle e le strutture sono ridotte all’osso, di conseguenza chi non è al vertice deve trovare nuovi sbocchi per organizzare la propria attività giovandosi di un’autonomia anche economica.
Paghiamo noi. Non è un mistero che le fondazioni si giovino di denari pubblici, date le ingenti somme che vengono stanziate per la soddisfazione dei loro scopi fondativi, ma non basta mai. L’esercito dei fondatori quindi è sempre a caccia di nuovi metodi in grado di finanziare le loro iniziative.
Donazioni. Da tempo ormai battono sul tasto del cinque per mille Irpef, ma a vuoto. Sembra infatti che da quel canale riescano a raccogliere poco o niente perché evidentemente i cittadini preferiscono indirizzare le loro donazioni verso cause diverse dalla “formazione della nuova classe dirigente”, per dirne una. C’è poi un’altra strada che diverse fondazioni hanno tentato, ovvero quella della svolta imprenditoriale. Sono nate, e presto collassate, ad esempio la Farefuturo s.r.l di area finiana e la Magnacarta s.r.l prossima chiaramente all’omonima fondazione presieduta da Quagliariello, ma anche in questo caso l’esperimento non ha dato buoni frutti o comunque non paragonabili a quelli che producono le comode sovvenzioni statali alle quali, a quanto sembra, non esiste alternativa.
Senza potere, niente soldi. Succede però che le vicende della politica possono improvvisamente allontanare gli animatori delle fondazioni dai centri di potere e che di conseguenza queste si impoveriscano.
E’ il caso di Antonio Bassolino, ex potentissimo governatore della Regione Campania ed ex ministro, che nel 2009 ha fondato Sudd.
La fondazione ha funzionato a pieno regime per alcuni anni, fino al mesto comunicato di qualche settimana fa, con il quale lo stesso Bassolino ha denuncialo lo stato di crisi in cui ormai versano le casse della sua creatura. Problema al quale sembra non possa esserci soluzione diversa che l’autotassazione degli amici della fondazione. Ma non è l’unico caso.
Anche a Fare Italia è successo qualcosa di simile. Promossa da Gianfranco Fini, la fondazione è passata poi nelle mani di Adolfo Urso. Quando però quest’ultimo ha avuto notizia di essere stato escluso dalle liste elettorali in occasioni delle ultime politiche, ha annunciato ai dipendenti della fondazione dell’improvvisa crisi di cassa, licenziandone alcuni. La deduzione autorizza a semplificare, ma tutto lascia pensare che se Urso fosse stato candidato ed eletto, la fondazione non avrebbe avuto problemi economici.
@coconardi