Dopo diciassette anni di occupazione, le tartarughe frecciate di CasaPound si preparano a perdere la storica sede di via Napoleone III. Una situazione che per decenni è andata avanti senza che nessuno muovesse un dito e che, invece, si è sbloccata in 24 ore. Tutto è iniziato con l’incontro di mercoledì sera tra la polizia e i militanti di estrema destra per avvisarli dello sgombero a cui ha fatto seguito la notizia che è in arrivo il sequestro preventivo del palazzo, nel rione Esquilino, su ordine dalla Procura di Roma. Il provvedimento, disposto dal gip, fa riferimento a una doppia indagine finita sul tavolo del pubblico ministero Eugenio Albamonte che indaga per occupazione abusiva e di associazione a delinquere finalizzata all’istigazione all’odio razziale.
Un fascicolo aperto da tempo e in cui sono già sedici i militanti iscritti al registro degli indagati e tra cui i leader di Casapound Gianluca Iannone, Andrea Antonini e Simone Di Stefano. Ora la struttura di 6 piani al civico numero 8 di via Napoleone III, nel cuore di Roma e a due passi dalla stazione Termini, dalla prossima settimana passa nella disponibilità del tribunale rendendo la struttura “sgomberabile” anche se la parola finale spetterà al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza che dovrà coordinarsi con la Procura.
SCONTRO APERTO. L’immobile oltre che interessare ai pm è finito da tempo anche nel mirino della sindaca Virginia Raggi che non ha mai negato di volerlo liberare dall’occupazione illegale per riconsegnarlo ai cittadini. Contrariamente a quanto dica qualcuno, la grillina non ha intrapreso una battaglia personale contro Casapound perché tutta la sua attività politica si è sempre concentrata nella lotta all’illegalità, sia essa legata al mondo di destra o di sinistra. Uno scontro che i militanti, invece, hanno sempre strumentalizzato per apparire come dei perseguitati. Proprio quanto accaduto lo scorso agosto quando la sindaca, interrompendo un assordante silenzio dietro cui ha sempre trovato protezione l’organizzazione di destra, ha fatto rimuovere la scritta “Casapound” posta sopra l’edificio.
Un evento simbolico che per i militanti altro non era che una prevaricazione buona solo per guadagnare consenso elettorale. Lo scontro, andato avanti a fasi alterne, si è riacceso a fine maggio quando la sindaca è stata minacciata a Ostia durante un incontro con i commercianti. Fatti che, però, non hanno scalfito la granitica volontà della grillina che ha preso carta e penna per scrivere a Roberto Gualtieri e a Lorenzo Guerini, titolari rispettivamente del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero della Difesa, ossia gli enti proprietari di due immobili occupati da Casapound, per chiedere di ripristinare la legalità.
PRONTI A TUTTO. Tutto risolto? Nient’affatto. Nonostante il provvedimento dei pm, i militanti sono pronti a resistere. “Da qui non ce ne andiamo”, ripetono gli occupanti alla notizia del sequestro preventivo. Anzi dalle finestre della sede è comparsa una bandiera tricolore e perfino una cassa acustica che, a volume esagerato, ha turbato la tranquillità del quartiere. Ma c’è di più perché i militanti, su Facebook, hanno anche chiamato a raccolta i propri sostenitori: “Per tutti coloro che vogliono mostrare solidarietà e vicinanza a Casapound dopo gli ultimi attacchi strumentali, per gli amici, i rappresentanti delle istituzioni, gli esponenti del mondo della cultura, l’appuntamento è in via Napoleone III numero 8”.