L’insurrezione di Prigozhin e dei mercenari della Wagner per me è un vero mistero.
Alda Foresti
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Gentile lettrice, non mi stupisco, perché stampa e tv non spiegano i fatti, ma creano narrazioni fasulle, tipo che i russi si sono autodistrutti i gasdotti Nord Stream. Il tutto condito di locuzioni tipo: “mistero”, “enigma”, “le oscure trame del Cremlino”. Nel caso in questione – accantonando per ora le teorie indimostrate che Prigozhin fosse al soldo della Cia o che avesse promesse di sostegno da alcuni generali dell’esercito – è certo che il piano di rivolta era pronto da settimane. Il “cuoco di Putin” non voleva perdere la sua fonte di potere, ossia il controllo della Wagner, che dal 1° luglio per decreto sarebbe stata incorporata nell’esercito. Il decreto era stato una reazione di Putin e del Ministro della Difesa Sojgu ai pesanti insulti del “cuoco” per la conduzione della guerra. Ammutinandosi, Prigozhin sperava di ottenere la revoca del decreto o di poter trattare da posizioni di forza, grazie anche all’amicizia di Putin, che gli era grato per il ruolo svolto dalla Wagner in Siria e altri teatri di guerra. Ma questa volta il “cuoco” ha oltrepassato il segno. Putin nel discorso alla nazione lo ha definito “un traditore” diventato tale “per ambizioni personali”. A quel punto Prigozhin ha capito che era finito: dove vanno 25.000 uomini che hanno scorte di munizioni e carburante per pochi giorni e non hanno missili né aerei né ricognizione satellitare? Vanno al macello. Il “cuoco” lo sapeva e si è aggrappato alla mediazione di Lukashenko per salvare la pelle. Il bluff è durato meno di 24 ore.
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