Inizia l’anno accademico per gli studenti e l’Italia si conferma fanalino di coda in Europa per istruzione universitaria, con implicazioni allarmanti per il futuro del paese. Secondo i dati Eurostat elaborati da Openpolis, nel 2023 solo il 30,6% dei giovani italiani tra 25 e 34 anni risultava in possesso di una laurea o titolo equivalente. Un dato che, nonostante il lieve miglioramento rispetto al 29,2% del 2022, relega l’Italia al terzultimo posto in Unione Europea, seguita solo da Ungheria (29,4%) e Romania (22,5%). La distanza dalla media UE, pari al 43,1%, resta abissale.
La carenza di laureati non è solo un problema di prestigio nazionale ma ha profonde ripercussioni sul tessuto socio-economico del paese. Come evidenziato da Openpolis, esiste una stretta correlazione tra il livello di istruzione dei genitori e le prospettive educative ed economiche dei figli. In particolare, emerge che nelle famiglie con persona di riferimento in possesso di diploma o titolo superiore, l’incidenza della povertà assoluta si attesta al 4%. La percentuale triplica, raggiungendo il 12,5%, quando il capo famiglia ha al massimo la licenza media.
L’eredità dell’ignoranza: un ciclo vizioso che si autoalimenta
Ancora più preoccupante è l’impatto sull’abbandono scolastico. Tra i figli di genitori laureati, solo l’1,6% abbandona precocemente gli studi. La percentuale sale al 5% quando i genitori hanno il diploma, per poi schizzare al 23,9% – quasi un giovane su quattro – quando il titolo massimo dei genitori è la licenza media.
I dati delineano un quadro in cui il basso livello di istruzione rischia di perpetuarsi di generazione in generazione, creando un circolo vizioso di povertà educativa ed economica. La situazione appare particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove si concentrano 14 dei 17 capoluoghi in cui meno di un quarto dei residenti tra 25 e 49 anni è laureato.
Il PNRR: un cerotto su una ferita profonda?
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede investimenti mirati per contrastare il fenomeno. In Puglia, ad esempio, sono stati stanziati 268,7 milioni di euro per asili nido e poli d’infanzia, di cui 93,9 milioni destinati alla sola città metropolitana di Bari. Inoltre, 212 istituti pugliesi riceveranno complessivamente 43,1 milioni di euro per contrastare la dispersione scolastica.
Tuttavia gli esperti sottolineano come questi interventi, per quanto necessari, rischino di essere insufficienti se non accompagnati da un cambiamento culturale profondo. La vera sfida sarà quella di spezzare la tendenza alla trasmissione generazionale del livello di istruzione, garantendo a tutti l’accesso a una formazione di qualità, indipendentemente dal background familiare.
Le disparità territoriali emergono con forza dai dati: mentre a Pavia quasi la metà degli adulti (49,5%) ha una laurea, ad Andria la percentuale crolla al 16,6%. Queste differenze non sono solo il riflesso di diverse opportunità economiche ma anche di un diverso atteggiamento culturale nei confronti dell’istruzione superiore.
In Italia, a quanto pare, la laurea non è solo un pezzo di carta incorniciato ma un vero e proprio scudo anti-povertà. I numeri parlano: se il capofamiglia sventola un diploma, solo il 4% delle famiglie rischia di finire sotto la soglia di povertà. Ma se si ha la licenza media la percentuale triplica al 12,5%. E attenzione, perché questo dato sta peggiorando. Sarà forse che l’ignoranza fa più male dell’inflazione?
Ma non solo. Se papà e mamma hanno sudato sui libri fino alla laurea, il figlio ha solo l’1,6% di chance di mollare gli studi. Con genitori diplomati? Si sale al 5%. E con la licenza media? Un sonoro 23,9%. Quasi un giovane su quattro che dice addio ai libri prima del tempo. Insomma, in Italia non si trasmettono solo i geni ma anche i titoli di studio e, guarda caso, i conti in rosso. Un perfetto meccanismo per assicurarsi che la povertà resti una tradizione di famiglia. Chi era povero, povero resta. Con tanti saluti all’ascensore sociale.