Ancora una volta l’Istat ci conferma che il Reddito di cittadinanza ha evitato il deflagrare della povertà assoluta in Italia e che il venir meno ora del sussidio, per volontà delle destre al governo, rischia di portare nuovamente verso l’alto l’asticella delle famiglie e delle persone vulnerabili. Nel 2021 l’indice di disuguaglianza del reddito netto si riduce rispetto all’anno precedente, attestandosi sul valore di 5,6 (-5,1%, era 5,9 nel 2020), un livello inferiore anche a quello osservato nel 2019 (5,7).
L’impatto delle misure di sostegno al reddito (strumenti ordinari – Reddito di cittadinanza – e straordinari – trasferimenti emergenziali) introdotte al fine di contenere i livelli di povertà e disuguaglianza, è stato rilevante soprattutto durante la pandemia: in assenza di trasferimenti alle famiglie l’indice di disuguaglianza nel 2021 sarebbe risultato pari a 6,4, valore molto superiore a quello osservato. È quanto emerge dal Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat.
Dati drammatici sulla povertà assoluta
Ma sono i dati sulla povertà assoluta che risultano drammatici. La serie storica dei dati mostra, ci dice l’Istat, una crescita dell’incidenza individuale a partire dal 7,6% del 2019. Questo dato era in flessione rispetto al 2018 per effetto, in larga parte, dell’introduzione del Reddito di cittadinanza di cui a partire dal secondo trimestre del 2019 avevano beneficiato circa un milione di famiglie. Nel 2020 l’incidenza individuale della povertà assoluta balza al 9,1%, mantenendosi stabile nel 2021.
Oltre che dalla crisi economica, la dinamica del biennio pandemico è stata influenzata dalle misure restrittive che hanno inciso sul calo dei consumi e sui comportamenti di spesa delle famiglie. Nel 2022 l’incidenza torna a crescere arrivando al 9,7%, in larga misura a causa della forte accelerazione dell’inflazione che ha colpito in maniera più dura le famiglie meno abbienti. E nel 2023, secondo le stime preliminari, l’incidenza individuale continua a crescere ancora rispetto all’anno precedente (9,8%). E quest’anno la situazione rischia di diventare ancora più esplosiva.
Povertà su senza Reddito di cittadinanza
Rispondendo a un’interrogazione del M5S il sottosegretario leghista Claudio Durigon, in commissione Lavoro il 4 aprile, ha fornito gli ultimi numeri sui due strumenti che hanno sostituito il Reddito di cittadinanza. Per quanto riguarda l’Assegno di inclusione, dalle informazioni rese dall’Inps, con specifica nota del 26 marzo scorso, il numero delle domande suddiviso mese per mese (dicembre, gennaio, febbraio 2024) è pari a 1.240.198.
Il numero di domande accolte è di 589.291, vale a dire meno della metà. Lontani anni luce dall’obiettivo indicato a fine dicembre 2023 dalla ministra del Lavoro, Marina Calderone, secondo cui con Adi sarebbe stata raggiunta, già a gennaio, la platea di 737 mila famiglie beneficiarie, così da non lasciare scoperti nemmeno per un mese i nuclei più fragili.
Durigon precisa che a differenza di quanto avveniva precedentemente con il Reddito di cittadinanza, i controlli sul possesso dei requisiti per ricevere l’Assegno di inclusione viene effettuato preventivamente. In realtà il basso numero di domande accolte si giustifica con l’inasprimento da parte del governo dei requisiti per poter beneficiare del sussidio.
Per quanto riguarda il Supporto formazione e lavoro, che ha preso avvio a settembre, il numero delle domande accolte e pagate (aggiornate sempre alla data del 26 marzo scorso) è pari a 60.599, mentre le reiezioni ammontano a 63.850. La risposta di Durigon, ha commentato il deputato del M5S Davide Aiello, “testimonia il fallimento della destra che con un tratto di penna ha abolito il Reddito di cittadinanza lasciando il 46% delle famiglie che lo percepivano prive di sostegno. Ancora oggi infatti, rispetto alle stime dello stesso Governo, restano esclusi dall’Adi quasi 148mila nuclei con minori, anziani e disabili”.