A Roma c’è un pozzo che avvelena la campagna elettorale. Si chiama Acea, la municipalizzata di energia e acqua controllata con il 51% dal Comune di Roma e partecipata al 15,8% da Francesco Gaetano Caltagirone (editore del Messaggero) e dai francesi di Suez con un altro 12,4%. Il resto è quotato in Borsa e nelle ultime due sedute il titolo ha perso il 6%, sostengono gli analisti di Piazza Affari, per via dei progetti di Virginia Raggi in caso di sbarco al Campidoglio. La giovane avvocata grillina vuol far fuori l’amministratore delegato Alberto Irace, imposto a Ignazio Marino da Matteo Renzi e da Caltagirone, secondo uno schema collaudato in base al quale in Acea comanda il socio privato con la sponda di Palazzo Chigi. Ma soprattutto, in linea con l’ideologia pentastellata sull’acqua come bene pubblico, la Raggi teorizza che la municipalizzata debba offrire un buon servizio e realizzare un utile pro forma, “perchè sull’acqua non bisogna guadagnare”. Una posizione che affonda le sue radici nel referendum sull’acqua vinto cinque anni fa e che ha scatenato una guerra con il Pd, da sempre legato alle lobby dell’acqua privata. La battaglia dei Cinque Stelle è combattuta alla luce del sole, ma per coerenza dovrebbe prospettare il delisting di Acea da Piazza Affari, visto che è difficile proporsi al mercato con l’obiettivo di fare zero utili.
IL RETICOLO – In ogni caso il groviglio su Acea è davvero preoccupante. L’ad Irace proviena da Publiacqua, la municipalizzata fiorentina divenuta famosa nei giorni scorsi per il crollo del Lungarno, nel cui cda Renzi aveva piazzato la fedelissima Maria Elena Boschi, oggi ministro della Riforme, ed Erasmo D’Angelis, al momento direttore dell’Unità. Publiacqua a sua volta è controllata dai comuni fiorentini ed è partecipata da Acea e da Suez. Irace, insomma, fa parte a tutti gli effetti del Giglio Magico e questo spiega la mobilitazione del Pd al fianco di Caltagirone. I difensori del manager puntano sui buoni risultati del 2015, quando il margine operativo lordo è salito dell’11% a 732 milioni, con conseguente pioggia di dividendi anche sul Comune di Roma.
IMPOPOLARI – Il problema è che in una campagna elettorale come quella di Roma, dove conta molto l’esasperazione dei cittadini per una città dove non funziona praticamente nulla, Acea non fa certo eccezione. I disservizi sono all’ordine del giorno, le bollette pazze con fatturazioni astronomiche da migliaia di euro hanno colpito migliaia di romani, costretti a entrare nel girone dantesco di call center inefficienti e che non forniscono mai la stessa indicazione. Una mattina all’ufficio reclami e relazioni con il pubblico di piazzale Ostiense farebbe bene a molti politici e manager, o presunti tali. Lo sanno bene anche gli uomini di Roberto Giachetti, il candidato del Pd, che conoscendo l’impopolarità dell’Acea evitano di difenderla pubblicamente agli occhi dei romani. Tanto ci pensa Palazzo Chigi, e c’è già chi ipotizza qualche decreto in arrivo. Del resto, un precedente velenoso c’è già ed è del mese scorso. La Raggi anticipò in tv che avrebbe cambiato il management di Acea, il titolo perse il 4,7% e il Messaggero di Caltagirone accusò la grillina di aver fatto perdere 71 milioni ai romani. Il Pd andò subito dietro al costruttore con dichiarazioni roboanti, facendo la figura del tappetino. Una vicenda che avrà anche uno strascico giudiziario perchè i Cinque Stelle hanno presentato una denuncia per diffamazione e manipolazione del mercato.