La cultura rende liberi, certo. La cultura allarga i confini del mondo in cui viviamo. Lo arricchisce, lo trasforma, ce lo fa vedere sotto prospettive diverse. È tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che ci rimane anche quando ogni cosa sembra perduta. L’unico modo per essere indipendenti, anche quando siamo subordinati a qualcosa o a qualcuno, l’unica via per essere liberi, persino essendo schiavi. Ma soprattutto con la cultura si mangia, perché in Italia è un indotto che impatta sul Pil (prodotto interno lordo) per il sei per cento dando lavoro a quasi due milioni di persone. Nonostante questo, la cultura è la grande assente nei programmi di tutte le coalizioni politiche per le prossime elezioni. Dalla flat-tax al salario minimo, dal reddito di cittadinanza all’aumento delle pensioni, passando per l’abolizione della legge Fornero e del jobs Act , di promesse fatte in questa campagna elettorale ne abbiamo sentite tante. Ma niente per rilanciare il settore.
Tanto che un gruppo di cinquanta grandi del comparto, tra registi come Carlo Verdone e Marco Tullio Giordana, produttori del calibro di Enrico Vanzina e persino archistar come Paolo Portoghesi, hanno firmato un manifesto per chiedere ai partiti un impegno a tutto campo per puntare sulla cultura, definita il motore della crescita civile. Per rilanciare, oltre che l’Italia, l’Europa, restituendo non solo dignità ai cittadini, ma futuro a chi sente di esserne privo. L’appello è rivolto a chiunque, dopo il 4 marzo, avrà responsabilità al governo o all’opposizione. “A scuola gli allievi prendono a coltellate i professori e i loro genitori li prendono a calci, così esordisce il manifesto, nei musei si oscurano i nudi di Schiele e le bambine di Balthus. Nelle università si riscrive la storia, e nei teatri si riadattano i classici ai pregiudizi contemporanei. Per le strade, il pestaggio sostituisce il confronto delle idee, mentre sul Web spopolano l’insulto e la condanna preventiva. In tutto il mondo, negare la cultura genera nuova violenza, ma in Italia si aggiunge il rischio della dissoluzione civile”, hanno scritto gli artisti. Ritornare alla cultura vuol dire, dunque, pensare nuove strategie per educare e ispirare i più deboli, grazie agli strumenti che abbiamo a disposizione. È questo uno fra i primi compiti che dovrebbero spettare a chiunque, dopo il 4 marzo, avrà responsabilità al governo o all’opposizione.
Oggi il profilo della platea degli addetti ai settori culturali è cambiata e si è ampliata Perchè il settore oggi più di ieri comprende tanti comparti: i beni culturali, lo spettacolo dal vivo, le industrie dei contenuti (editoria, tv, cinema) la moda, il design e persino l’enogastronomia. Un capitale di cui l’Italia è ricca e che deve tornare ad essere valorizzato.