Mentre sulla Striscia di Gaza piovono le bombe, proseguono a fatica e tra mille contraddizioni i negoziati di pace tra Hamas e Israele. A riaccendere la flebile speranza in un accordo che possa mettere fine alla guerra, che va avanti da quasi due anni, è stato un funzionario israeliano che, ai media di Tel Aviv, ha fatto il punto della situazione sulle trattative, rivelando che “al Cairo ci sono stati alcuni progressi nei negoziati per la liberazione degli ostaggi, anche se non tutto ciò che dicono gli egiziani (secondo cui si registrano ‘progressi significativi’, ndr) è vero”.
Secondo il dirigente — fedelissimo del primo ministro Benjamin Netanyahu — che ha chiesto l’anonimato, la tregua “è possibile”, ma restano ancora diverse criticità, a partire dalla durata del cessate il fuoco: il movimento palestinese chiede una tregua di 5 anni, mentre Tel Aviv propone non più di 40 giorni. Restano inoltre aperte le questioni relative al destino di Hamas, che per Israele deve deporre le armi e rinunciare alla lotta armata.
La pace a Gaza si allontana ulteriormente. Per Israele le trattative al Cairo proseguono con lievi progressi, ma Hamas nega: “Stanno tenendo in stallo i negoziati”
Ma non è tutto. Il delegato israeliano, sempre stando a quanto riportano i media locali, ha anche messo in dubbio le buone intenzioni del Qatar, che da oltre un anno ospita le trattative di pace tra le parti, accusandolo di partecipare ai negoziati “per il proprio tornaconto, affinché i leader mondiali vengano a Doha e non per fare pressione su Hamas”. Un atteggiamento che, ha sottolineato, è in netta contrapposizione con quello tenuto dall’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi, che sta “effettivamente esercitando un pressing” sul gruppo terroristico.
Parole distensive, quelle del funzionario israeliano, che sembravano presagire possibili sviluppi positivi nelle trattative. Peccato che poco dopo siano state gelate dalle dichiarazioni di uno dei delegati di Hamas che, rispondendo attraverso il canale all news Palestine al Youm, lo ha smentito. A suo dire, “le trattative proseguono, ma non si registra alcun progresso” che possa far pensare alla fine delle ostilità.
La faida palestinese
Parole che hanno fatto infuriare il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese, Mohammed Mustafa, che in un’intervista a Repubblica ha dichiarato: “Hamas, come partito politico, è benvenuto nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) se accetta i principi a cui i suoi membri aderiscono, e dunque l’idea che la pace debba essere raggiunta senza violenza e senza armi, in base alla soluzione dei due Stati”.
“Per quanto riguarda il governo: l’esecutivo che io guido è un governo tecnico, non ci sono rappresentanti di partito né possono esserci. Questo vale per Hamas così come per Fatah. Ed è chiaro che non possono esserci armi in Palestina che non siano quelle che rispondono all’autorità centrale”, ha aggiunto Mustafa, di fatto allineandosi alla richiesta di disarmo del gruppo terroristico, sostenuta anche dai mediatori egiziani.
Richiesta che è stata immediatamente rigettata da Hamas, che continua a ribadire di essere disponibile a una tregua di cinque anni, deponendo le armi ma senza consegnarle a Israele.
Orrore a Gaza, l’Unrwa accusa Israele di aver torturato i suoi dipendenti arrestati
Davanti allo stallo delle trattative e ai continui bombardamenti, che anche ieri hanno colpito la Striscia di Gaza — in particolare la città di Rafah — a fare scalpore sono le pesanti accuse rivolte dal direttore generale dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Philippe Lazzarini, nei confronti dell’esercito israeliano (Idf).
Secondo Lazzarini, oltre 50 membri del personale dell’organizzazione delle Nazioni Unite, “tra cui insegnanti, medici e assistenti sociali”, sono stati detenuti e maltrattati dall’inizio della guerra, nell’ottobre 2023. Un’accusa supportata dalla pubblicazione su X (l’ex Twitter) di un messaggio ricevuto da un collega “arrestato a Gaza, torturato durante la detenzione israeliana e poi rilasciato”, il quale gli ha riferito di aver “desiderato morire perché finisse l’incubo che stava vivendo”, sottolineando che gli operatori arrestati dalle forze israeliane “sono stati trattati nel modo più scioccante e disumano”.
Questa, però, non sarebbe l’unica denuncia raccolta da Lazzarini, che infatti dice di aver parlato anche con altri arrestati: “Hanno raccontato di essere stati picchiati e usati come scudi umani. Sono stati sottoposti a privazione del sonno, umiliazioni, minacce di violenza nei loro confronti e delle loro famiglie, oltre ad attacchi con i cani. Molti sono stati costretti a confessioni forzate”, ha aggiunto, prima di ribadire che “gli operatori umanitari non sono un bersaglio” e che presto o tardi “dovrà esserci giustizia e responsabilità per i crimini e le violazioni del diritto internazionale commessi nella Striscia di Gaza”.