C’è una favoletta degli anni ’50 che vede come personaggio una locomotiva dal nome Tootle che deve imparare a diventare una “freccia” che schizza sui binari a forte velocità e senza distrazioni. Le piacciono i fiori e gareggiare con i puledri in libertà, deragliando dalle rotaie che il suo capotreno le impone come tracciato inaggirabile. Senza diktat diretti e punizioni esemplari, il baby Intercity capirà, grazie a tante bandierine rosse messe dai membri della popolazione locale, che erba e paesaggi sono il male, e che rimanere concentrata a sferragliare e sbuffare è l’unico compito a cui deve attenersi. Metafora del conformismo e dei soft-power.
Il filosofo Paolo Ercolani la cita nel suo bel libro Figli di un io minore (Marsilio, pagg. 333, euro 16) dove illustra, con una articolazione multidisciplinare di prezioso spirito divulgativo, i tentacoli mortiferi di una vera e propria “dementocrazia”, una polis post-democratica dei dementi del terzo millennio: illusione di una maggioranza attiva solidale e pensante, che ci fa accomiatare da ogni ipotesi alternativa di lettura del reale, facendoci accomodare, invece, nel grembo delle azioni stereotipate e conservatrici che fanno il vantaggio di chi regge le regole del gioco della globalizzazione.
A livello di circolazione di merci, fondamentalmente, ma anche di immagini, notizie, sogni, rivendicazioni, scale valoriali che schiacciano i talenti e le biografie sulle pretese solo efficientiste e calcolatorie del neoliberismo più competitivo. Dice il docente di Urbino: “I governi, le leggi, l’educazione, l’informazione e in generale tutte le istituzioni in grado di svolgere una funzione mediana fra i cittadini e il potere (che oggi è innanzitutto finanziario), vengono ridefiniti e disinnescati affinché si sottomettano al ruolo di promotori ed esecutori della logica di mercato e degli interessi finanziari”. In nome di un governo “invisibile, indefinito, non territoriale”, che ipnotizza l’uomo comune coi riflessi della moneta e degli schermi, viene praticato allora un regime della stupidità e dell’inerzia collettive spacciato per una scintillante pulsantiera di chance di emancipazione e autonomia.
Ma il giudizio latita, la riflessione arranca, la “misologia” (disprezzo del sapere) si impone, l’audience sostituisce cultura e critica, i legami diventano connessioni e profilazioni, i flussi economici ed emozionali disgregano la cara vecchia cittadinanza. La scuola, ci allarma Ercolani, deve ritrovare pedagogia e fatica concettuale contro l’otium dei nuovi incantesimi del consumo e della Rete.