Puntavano a intascare illecitamente i fondi messi a disposizione dal governo alle imprese per sostenerle durante l’emergenza Covid. E’ quanto emerso dall’operazione “Habanero” condotta dal nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Milano e coordinata dalla Dda milanese, che ha portato all’arresto di 8 persone “in odore di ‘ndrangheta”, accusati di “associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alla realizzazione di frodi iva nel settore dei metalli”. In particolare, nel mirino dei finanzieri sono finite 8 soggetti, di cui 4 in carcere e 4 agli arresti domiciliari, e beni mobili, complessi aziendali e disponibilità liquide e finanziarie per un ammontare complessivo di oltre 7,5 milioni di euro.
L’operazione ha riguardato non solo la Lombardia ma anche Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, Calabria e Sicilia con 34 perquisizioni e la notifica dell’avviso della conclusione delle indagini nei confronti di 27 indagati. I soggetti, alcuni dei quali contigui al clan Greco di San Mauro Marchesato, costituente una ‘ndrina distaccata della ‘ndrangheta di Cutro (KR) operante in lombardia, avevano messo in piedi “una complessa frode all’Iva nel settore del commercio dell’acciaio, avvalendosi di una fitta rete di società ‘cartiere’ e ‘filtro’, formalmente rappresentate da soggetti prestanome”.
In particolare, dalle indagini è emersa l’esistenza di diverse imprese, italiane ed estere, apparentemente prive di reciproci legami societari, utilizzate per frodare il fisco attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, costituendo fittiziamente il plafond Iva previsto per i cosiddetti “esportatori abituali”, o manipolando artificiosamente le liquidazioni periodiche dell’imposta sul valore aggiunto.
I proventi illeciti accumulati, per oltre mezzo milione di euro, venivano poi auto-riciclati attraverso canali bancari e conti correnti accesi in Bulgaria ed Inghilterra. L’organizzazione, sempre secondo quanto hanno accertato gli inquirenti, “avrebbero parallelamente riciclato ulteriori risorse di provenienza illecita avvalendosi della collaborazione di un soggetto cinese residente in Toscana, concorrente nel reato, a sua volta interessato a riciclare importanti somme di denaro ‘in contante’ e ad inviarle in Cina”, provveduto a bonificare “circa mezzo milione di euro dai conti correnti di alcune società inserite nello schema di frode e diretti ad istituti di credito siti in Cina, messi a disposizione dallo stesso soggetto cinese, anch’egli attinto da misura restrittiva”.
Un’operazione che avrebbe consentito, da un lato, agli indagati italiani di drenare denaro dai conti correnti delle società oggetto di investigazione e, dall’altro, al soggetto cinese di trasferire nel proprio Paese d’origine le riserve di denaro contante di cui disponeva illecitamente e che non avrebbe potuto inviare attraverso i canali legali. Infine, dalle indagini sarebbe emerso come il principale indagato, indicato dai collaboratori come inserito nella cosca di ‘ndrangheta, “abbia presentato richiesta ed ottenuto, da un lato, per tre delle società inserite nello schema di frode, i contributi a fondo perduto previsti dall’art. 25 del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34, attestando un volume di affari non veritiero in quanto generato dall’emissione di false fatture relativamente all’anno precedente e, dall’altro, tentato di beneficiare, con esito infruttuoso, di finanziamenti serviti dalla garanzia pubblica del Fondo Centrale di Garanzia delle PMI, di cui all’art. 13 del Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, finalizzati a sostenere il sistema imprenditoriale nella particolare congiuntura economica determinata dall’emergenza sanitaria connessa alla diffusione del Covid-19”.