di Lapo Mazzei
A vederli lì, seduti l’uno accanto all’altro, sembrava di assistere ad una versione politicamente corretta del Libro Cuore del parlamentarismo di casa nostra. Tutti belli, bravi e buoni. Come se i vent’anni di muro contro muro, di antiberlusconismo urticante, di delegittimazione reciproca, di destra contro sinistra, di moderati contro Comunisti, fossero archeologia politica. Roba del secolo scorso, insomma. E non il presente che ci sta appena alla spalle, uno ieri non ancora del tutto tramontato. Eppure è successo. E non è affatto un male. Anzi. Perché nell’arco degli ultimi settant’anni di storia repubblicana l’Italia, per la seconda volta, entra nella modernità. Prima con il passaggio dalla monarchia alla Repubblica, e ora con la grande coalizione, sorta di compresso storico in salsa machiavellica. “Inciucione” per i palati meno raffinati. Ma comunque la si voglia declinare, questa era l’unica maggioranza possibile per dare un governo ad un Paese stressato e provato, stufo della Casta e dei suoi inutili giochi di potere. Dovendo riannodare le fila di un discorso spezzato, serviva una corda forte ed un nodo solido.
Le premesse ci sono, ora non resta che aspettare i fatti che devono arrivare un modo dopo il voto di fiducia del senato, previsto per quest’oggi. Premesse dicevamo. Come quella servita dal vice premier Angelino Alfano, segretario del Pdl e dirimpettatio, sino a ieri l’altro, di Enrico Letta, oggi coinquilino dello stesso appartamento. Quando il premier, nel suo intervento di ieri alla Camera, sollecita il taglio dello stipendio da ministro per i componenti del governo che già hanno l’indennità da parlamentari, il vice premier e ministro dell’Interno, non si limita ad applaudire convintamente, ma sollecita i colleghi a fare altrettanto. Non contento si gira verso il presidente del Consiglio, che ha apprezzato il gesto, riservando a Alfano una pacca sulle spalle. E poi lo stop all’Imu, l’estensione degli ammortizzatori per i precari, la cancellazione dei rimborsi elettorali ai partiti, la riduzione del costo del lavoro, i giovani e le donne. “Musica per le mie orecchie” chiosa Alfano. Altro che libro Cuore, siamo già oltre. Ma durerà questa storia d’amore o siamo davanti a frammenti di un discorso amoroso che deve ancora trovare la sua forma compiuta? E le gelosie, gli amanti traditi, i malpancisti per costituzione e convenienza, gli invidiosi, quelli che senza l’antiberlusconismo non si riconoscono più guardandosi allo specchio, staranno a guardare proveranno ad azzoppare questo Unicorno? Colpiranno a volto scoperto o nel segreto dell’urna? Prendete il fondatore dell’Ulivo, per esempio. Secondo le voci di corridoio raccolte in Transatlantico – voci forti come grida – Romano Prodi, bocciato per il Quirinale e non ripescato nemmeno per la “Convezione per le Riforme”, pare che veda come il fumo negli occhi questa operazione, tanto da tramare già per farlo cadere. Magari con il silenzio assenso di Sel e del leader Nichi Vendola, orfano di quella coalizione di centro sinistra con la quale aveva sognato di andare al governo.
Massimo D’Alema, invece, che resta in attesa del prossimo giro per il Quirinale e per questa ragione non fa parte del governo, pur essendo fredddino rispetto al governo Letta, preferisce restare in attesa. Vediamo come se la cava, poi si vedrà. Del resto il suo asse di non belligeranza con Matteo Renzi rappresenta la sua assicurazione sulla vita. E se nel Pdl sembra tutto rose e fiori, non va dimenticato che il partito degli esclusi dalle poltrone aspetta il valzer dei sottosegretari con particolare ansia. Dovesse andar male anche lì, Berlusconi sarà costretto a fare la voce grossa. Un po’ come sta avvenendo fra i montiani, dove le poltrone sono una meta ambita, e non un premio al merito. Insomma, dietro le quinte, nell’ombra del retropalco, le trame non sono quelle da libro Cuore, ma da commedia degli orrori. Eppure, il premier, per tornare al capitolo delle premesse, ha fornito varie chiavi di lettura agli analisti. “Il Parlamento deve recuperare la sua centralità”, sostiene il presidente del Consiglio, replicando al dibattito sulla fiducia, durante il quale molti avevano sollecitato maggiore rispetto per le Camere, altro segnale di movimenti carsici antigovernativi. “La caratteristica principale di questo governo è di creare la riconciliazione tra governo e Parlamento, dopo un decennio di rapporto di fatica a riconoscere il fatto che il Parlamento è il luogo centrale di sovranità del Parlamento”. Letta ha auspicato il dialogo tra esecutivo e le due camere, in particolare “sulle riforme costituzionali con tutti i gruppi, per il resto con la maggioranza”. Anche i ministri, ha assicurato Letta, saranno “disposti e disponibili all’interlocuzione”. Insomma, ripartiamo da dove di eravamo lasciati vent’anni fa. Democristianamente parlando…