Chapeau. Per il massmediologo Klaus Davi, la scelta del Governo di nominare Lino Banfi nella delegazione che rappresenterà l’Italia all’Unesco, è vincente. Al di là del merito e sulle competenze, su cui si può essere più o meno d’accordo, “dal punto di vista del ritorno nella comunicazione è un messaggio fortissimo”, spiega Davi intervistato da La Notizia.
In che senso?
“Si è voluto unire un contesto alto a un contesto popolare, tra l’altro con un personaggio che non è solo un attore, dato che si è impegnato anche nei diritti civili in passato (Banfi è da anni ambasciatore Unicef, ndr). È un’icona ma di qualità. Non è trash”.
Però tanti film del suo passato appartengono a una categoria che è difficile non definire “trash”.
“Certo, nessuno mette in dubbio che Banfi abbia fatto film di un certo tipo in passato, ma è altrettanto vero che è una persona molto rispettata dalle persone. Questo è il punto: a livello popolare questa nomina arriva in maniera molto forte”.
Insomma, una nomina più raffinata di quel che si creda?
“Dal punto di vista della comunicazione, è un’operazione che funziona. Quindi chapeau”.
Inevitabilmente, però, come accade spesso in questi casi sono arrivati pesanti critiche e sfottò…
“Guardi, io sono sempre contro i pregiudizi snob. Che ne sappiamo noi di cosa accadrà? Certo: è Lino Banfi, non è Sergio Romano, siamo tutti d’accordo. Ma non ha senso giudicare a priori”.
Non molti la pensano come lei, a leggere dichiarazioni, post e tweet, anche di autorevoli giornalisti e politici.
“Ogni volta c’è questa sistemica denigrazione. Denigrare come leva di marketing è molto molto simile alle strategie dell’antiberlusconismo. Anche allora si irrideva a prescindere. Lo scontro, oggi come allora, è sempre basato su una presunta élite che dall’alto denigra e irride. Si riconduce tutto alla superiorità: l’abbiamo già sperimentato, non funziona”.
Pare che non sia stato capito fino in fondo.
“Le persone hanno già fatto una scelta molto chiara: l’elettorato vuole provare questo nuovo tipo di fare politica. E invece nel dibattito ogni cosa deve servire a sottolineare che questi sono buzzurri e gli altri intellettuali. È una scelta suicida”.
E allora perché la critica a priori? Voglio dire: a cosa porta?
“Non credo che l’elettore si identifichi nell’atteggiamento elitario di chi critica. L’elettore ha bisogno di chiavi di lettura, non della denigrazione, che in realtà allontana l’analisi nel merito”.
In che senso?
“Questo attacco concentrico alla fine rafforza l’asse perché impedisce l’analisi vera e impedisce che le contraddizioni emergano. In questo il Pd oggi, i Ds ieri sono maestri, maestri nella critica aprioristica. E questo sortisce l’effetto contrario: la sensazione che non ci sia assolutamente una vera opposizione”.