di Massimiliano Lenzi
Di fare il politico il Silvio Berlusconi babbo delle televisioni commerciali non se lo sognava nemmeno, negli anni Ottanta, ai tempi del Drive In (narrazione catodica intrisa di risate e di forme al vento) e degli yuppies. Ma il tempo passa e oggi è un altro giorno. Per questo il Popolo della libertà, riunito per la direzione nazionale – eredità quel sostantivo, Direzione, di quando esistevano i partiti con la P maiuscola – gioca la sua partita decisiva con la storia. La combatte, in realtà, il suo leader, il fondatore o come diavolo vogliate chiamarlo. Si, insomma, lui. Il Cavaliere. Con quei 7 anni in primo grado sul groppone appesantiti dall’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Cosa succede alla direzione Pdl in queste ore è quindi una questione nazionale. Non amando guardare dal retro, guardiamola in faccia: «Può accadere di tutto», dicono alcuni peones (affezionati alla parole in libertà più che al Popolo della libertà), ben sapendo che quel tutto equivale a giocarsi la tripla, 1, x e 2 ma a vincere niente.
La politica, in fondo, ha la sua cabala come il gioco d’azzardo ma se punti su tutti i risultati non vincerai mai nulla. Perciò il filo per spiegare la Direzione nazionale del Pdl in corso oggi è lui, quello che a fare il politico non ci avrebbe mai pensato: Silvio Berlusconi. Sarà lui la chiave per sbrogliare un match finale dove 1 è mantenere le larghe intese, x cercare una via di salvezza istituzionale e 2 mandare tutto all’aria.
Partiamo dall’1, la cosa più facile ma solo in apparenza. Alcuni dentro il Pdl, anche figure di primo piano come Fabrizio Cicchitto, ripetono che «con la condanna è a rischio la pacificazione nazionale». Il punto è che la pacificazione, nel senso di reset anche sui processi in corso oltreché su divisioni politiche e storiche, è evento straordinario. Lo fu l’amnistia di Palmiro Togliatti e lo fu per due ragioni: 1) Si usciva da una guerra lacerante e civile; 2) Su quell’atto politico la magistratura non aveva nessuna voce. Nell’Italia del XXI secolo, che non arriva da una guerra mondiale ma da uno scontro politico, quello sì, anche durissimo la magistratura ha un ruolo da protagonista. E nessuno, neppure Giorgio Napolitano – seppure ex comunista nel solco della migliore tradizione di partito – ha il potere che ebbe Palmiro Togliatti: non far condannare o trovare una via d’uscita indolore, con l’onore delle armi, per Silvio Berlusconi, tre volte premier e da oltre 20 anni leader del centrodestra italiano. L’impotenza di Giorgio Napolitano, ci spiega perché pure la x sia di per sé una soluzione impraticabile: come si trova una via di salvezza istituzionale se per arrivarci è necessario neutralizzare o stoppare degli iter giudiziari in corso, uno addirittura – quello per il processo sui diritti Mediaset – con una condanna in secondo grado per Berlusconi e che in autunno arriverà in Cassazione? Sandro Bondi, tornato alla ribalta, insiste nel dire che «è assurdo pensare che l’attuale Governo possa lavorare tranquillo mentre si massacra Berlusconi», leader di uno dei partiti che lo sostengono. Le Direzioni nazionali dei partiti, in fondo, servono pure a questo: a far parlare. Ma la sintesi, quella, sarà il Cavaliere. A cui, seguendo la logica e le constatazioni di gran parte dei suoi, non resterebbe che il 2: “Mandare tutto all’aria”, nel senso del Governo Letta. Ma vincere in trasferta non è cosa facile.
E qui ci sono almeno quattro effetti collaterali, di cui tre negativi, che le colombe – o quel che ne resta dentro il Pdl dopo il verdetto di lunedì scorso – vedono. La prima: Giorgio Napolitano non è detto che sciolga le Camere in caso di caduta di Letta jr. Si potrebbe formare, in Parlamento, (numeri al Senato permettendo) una maggioranza senza Pdl. Seconda ipotesi: sgambettare Letta non può essere soltanto la reazione ad una sentenza. Una parte degli elettori moderati potrebbe non capire. E per questo potremmo assistere ad una escalation della campagna contro l’aumento dell’Iva (non rinvio dell’aumento, ma sua definitiva cancellazione), contro l’Imu e la pressione fiscale esagerata. L’onorevole Daniela Santanché ne è convinta: il Governo deve rispondere su Iva, Imu e sui parametri europei. Se lo fa il Pdl c’è. Altrimenti, adieu! Terzo rischio per le colombe: perdere le elezioni. Nel caso si andasse al voto, trovarsi un Pd che schiera Matteo Renzi candidato premier potrebbe voler dire smarrire un pezzo del proprio elettorato. Quarta ipotesi, unica non negativa: la vittoria elettorale di Berlusconi dovrebbe essere tale, nel senso della rappresentanza numerica in Parlamento, da consentirgli la riforma della giustizia mai fatta in 20 anni né dal centrodestra né dal centrosinistra. 1, x o 2 ai fini del risultato, c’è poca differenza. Comunque la si prenda, stavolta, la giocata del Cavaliere è la più difficile di sempre, almeno da quando è in politica. E lui, avvezzo all’agonismo potrebbe tornare dov’era cominciata, quando di fare il politico non se lo sarebbe mai sognato. Al 1981, quando in un’intervista a Sorrisi e canzoni disse: «La vita è una catena di appuntamenti mancati; cose che si volevano fare e non si son fatte. Persone che si volevano frequentare e si sono perse di vista. Libri che si volevano leggere e non si sono letti». E allora fanculo al Palazzo e via, perché oggi è un altro giorno e tra l’1, la x e il 2, meglio un fuoricampo. Magari per far entrare in politica Marina, Berlusconi pure lei. Su cui «Silvio – Luigi Bisignani dixit – si sarebbe convinto». In fondo oggi, in Italia – destra, centro, sinistra – siamo tutti un po’ berlusconiani. O no?