Meloni vuole riformare la Costituzione in nome della stabilità. Per farlo propone l’elezione diretta del premier. Marco Taradash, giornalista e già deputato Ue e nazionale, è la strada giusta?
“Guardi non c’è nessun Paese stabile al mondo. Per capirlo basta guardare a cosa succede ogni settimana nelle strade francesi o la spaccatura che c’è negli Stati Uniti e che rende molto complesso il governare anche al Presidente degli Usa. La verità è che non esistono soluzioni miracolose e l’Italia ha dei problemi in più rispetto ad altri Paesi. Si pensi al fatto che l’Esecutivo e in particolare il Presidente del Consiglio non hanno i poteri che generalmente hanno i premier negli alti Stati. La cosa straordinaria dell’Italia è che il Presidente del Consiglio non può neppure scegliere o revocare i propri ministri e questo è il primo punto che andrebbe rivisto. In secondo luogo l’Esecutivo non ha delle vie garantite per portare a compimento i suoi progetti e deve ricorrere ai decreti d’urgenza. Si tratta di una stortura che va assolutamente modificata. Terza cosa da cambiare è il fatto che il Governo si trova di fronte a due Camere che fanno le stesse cose e che ultimamente le fanno sempre peggio. Questo è ciò che serve per la stabilità dei governi e per rendere un esecutivo efficiente se ha una maggioranza, del resto se non ce l’ha non la si può inventare. E in Italia si è tentato di inventarla con le leggi maggioritarie, compresa l’ultima il Rosatellum, ma non hanno mai funzionato. Inutile pensare che serva stravolgere la Costituzione, bastano pochi correttivi”.
La premier dice che bisogna evitare i cambi di casacca…
“Quando Meloni dice basta con i segni di casacca può avere un solo significato costituzionale vale a dire introdurre il mandato imperativo, ossia chi viene eletto risponde al segretario del partito che lo ha candidato e non alla Nazione. Questo è una ferita rispetto a tutta la tradizione democratica occidentale che, al contrario, vede l’eletto come rappresentate della Nazione e dei suoi elettori, non del partito”.
L’Italia che si fonda su partiti personalistici, con una riforma di questo tipo non rischia una deriva autoritaria?
“Meloni in realtà non vuole solo la stabilità ma non avere ‘rotture di scatole’. Vuole quello che Salvini chiamava i pieni poteri, affidati a un eletto dal popolo saltando l’intermediazione parlamentare, e per questo propone il premierato o il presidenzialismo. Si tratta di due strade che non si addicono all’Italia di oggi dove non c’è in vista un cambio di regime, a meno che uno non voglia crearlo. E secondo me è la cosa che Meloni vorrebbe fare. Il suo modello è quello dell’estrema destra europea, vale a dire il modello ungherese, della democrazia illiberale. Meloni l’ha sempre teorizzata, come Salvini, ma oggi non lo sbandiera più ai quattro venti perché in quanto Presidente del Consiglio deve adottare una linea prudente e responsabile. Ma resta che quello è il suo disegno e lo conferma tutto il suo percorso politico. Le dirò di più, se Trump vincerà le prossime elezioni stia certo che Meloni parteciperà all’alleanza di Visegrad che guarda agli Stati Uniti di Trump come un riferimento. E in quel caso produrrà una spaccatura profonda in Europa”.
Meloni ha ricevuto le opposizioni per parlare della riforma. Non le sembra irrituale che per una simile modifica si parta da un’iniziativa del Governo e non da una parlamentare?
“Naturalmente non è normale ma è già stato fatto in passato. La cosa anomala è che questo incontro con i partiti di opposizione da parte del Presidente del Consiglio è avvenuta in una sede parlamentare ma poteva benissimo avvenire in un bar. Vorrei far notare, però, che il problema di fondo non è il tipo di iniziativa ma l’assoluta determinazione del governo di arrivare al voto finale sulla riforma a prescindere da quello che proponga l’opposizione. Non c’è nessuna intenzione di dialogare con le minoranze. Loro vogliono una riforma, presidenzialismo o premierato che sia, così da dare un potere immenso alla maggioranza di governo e al Presidente del Consiglio, dopodiché si sottoporranno al referendum”.
La Meloni dice che la riforma si farà anche senza le opposizioni e che a dire l’ultima saranno gli italiani. Ma con l’occupazione della Rai e Mediaset che è di Berlusconi non c’è il rischio di un’informazione viziata?
“Questo è un problema perché il referendum sarà gestito mediaticamente dalle reti televisive che si spartiscono il 90% dell’audience, ossia quelle di Rai e Mediaset, e che sono ormai di governo. Credo che questo porterà gli elettori a dire un grande sì alla riforma costituzionale. Purtroppo temo sia una strada segnata se l’opposizione non riuscirà a mobilitarsi. La lottizzazione della Rai la conosciamo da tempo ma questa volta è legata a un progetto politico. Meloni ha scelto come direttore generale Giampaolo Rossi che è l’esponente della parte più retriva della destra italiana, sostenitore di Putin e contro l’occidente e l’atlantismo, che di recente si è difeso affermando che queste sue affermazioni fossero vecchie ma sono del 2018”.
Sulla riforma sono evidenti le divergenze nella maggioranza. La Meloni non dovrebbe prima chiarirsi con gli alleati e dopo discutere con le opposizioni?
“Questo è esattamente quanto affermato da +Europa. È chiaro che iniziare così una discussione, per giunta da parte di un Presidente del Consiglio, è quantomeno stravagante perché deve arrivare con una proposta. La certezza è che la Meloni punta o al presidenzialismo o al premierato, la Lega al premierato e Tajani non l’ho capito. Ma il punto non è questo perché a loro interessa arrivare all’elezione popolare di un comandante”.
Lei ha detto che la maggioranza lavora a un programma neo-postfascista. Cosa intende?
“Che vogliono un sistema autoritario compatibile con l’Europa ossia la democrazia illiberale. Sono neo-postfascisti perché la destra italiana ha avuto una storia evolutiva molto lunga e significativa. Alleanza nazionale troncò con il fascismo mentre Meloni, quando creò Fratelli d’Italia, ha rimesso la fiamma nello stemma e ha riportato in prima fila personaggi che erano nati e cresciuti all’interno del post-fascismo. Oggi trovare una voce liberale dentro Fratelli d’Italia è molto complicato mentre in Alleanza nazionale c’era un nutrito gruppo di formazione liberal-democratica. È letteralmente cambiata la classe dirigente da An a FdI e quella odierna è neo-post fascista perché composta dagli eredi del post-fascismo italiano”.