Magro, anzi magrissimo, è il bottino che l’Italia porta a casa dopo la prima giornata di lavori del Consiglio europeo. Migranti, competitività, auto: su questi temi cari al governo Meloni non ci sono stati passi in avanti, semmai indietro come nel caso dello stop ai motori tradizionali dal 2035.
Migranti e competitività. Altro euro flop della Meloni. Al Consiglio europeo il premier chiede una riforma più soft del Patto di stabilità. I frugali le preparano il benservito
E questo al netto delle dichiarazioni propagandistiche dell’esecutivo. La premier, qualche giorno fa, ricordiamo, aveva detto che l’Italia non intende svolgere un ruolo da comprimario in Europa ma da protagonista. Ma l’unica cosa che riesce a strappare dopo mesi di gelo è un incontro con il presidente francese, Emmanuel Macron.
Nel capitolo sulla migrazione nelle conclusioni del Consiglio spunta il richiamo esplicito al precedente vertice di febbraio. “La presidenza del Consiglio e la Commissione hanno informato il Consiglio europeo dei progressi compiuti nell’attuazione delle sue conclusioni del 9 febbraio 2023 sulla migrazione – si legge -. Ricordando che la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea, il Consiglio europeo chiede una rapida attuazione di tutti i punti concordati. Esaminerà l’attuazione a giugno”.
Dunque tutto si conclude nei fatti con un rinvio della questione da qui a due mesi. Idem sulla competitività. Roma insiste per l’introduzione di un Fondo sovrano europeo, la Commissione insiste sui fondi già esistenti, ovvero RePowerEu, fondi di Coesione e soprattutto Recovery, di cui al massimo l’esecutivo comunitario può garantire maggiore flessibilità.
“Garantire la piena mobilitazione dei finanziamenti disponibili e degli strumenti finanziari esistenti e utilizzarli in modo più flessibile, in modo da fornire un sostegno tempestivo e mirato nei settori strategici senza incidere sugli obiettivi della politica di coesione”, si legge nelle conclusioni. Che concedono solo un breve e fugace passaggio sull’atteso fondo sovrano: “Il Consiglio europeo – si legge – ricorda di aver preso atto dell’intenzione della Commissione di proporre un Fondo di sovranità europeo prima dell’estate 2023 per sostenere gli investimenti nei settori strategici”.
Siamo dunque a livello di intenzioni, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E anche qui la discussione sul Fondo viene rinviata. Al momento mancano sia una proposta ad hoc della Commissione sia un largo consenso tra i 27. Ed è qui che il tema si interseca con la riforma del Patto di stabilità. Per l’Italia il nuovo Patto non va visto come capitolo a sé stante rispetto alla strategia per una Ue competitiva e verde. Tradotto: chiedere investimenti sul dossier esige, soprattutto per chi ha poco spazio fiscale, una flessibilità nel percorso del rientro del debito o una golden rule ad hoc per le risorse spese nella transizione e forse anche per la difesa.
“Non si può pensare che gli investimenti necessari a rendere competitivo il nostro sistema non siano tenuti in considerazione nella governance”, attacca Meloni. “Per noi sarebbe tragico tornare ai parametri precedenti, serve una governance più attenta alla crescita”. E in quest’ottica la flessibilità nell’uso dei fondi esistenti a Roma non basta. E l’emergere della tensione con i ‘frugali’, che chiedono invece benchmark rigidi per il rientro del debito, è dietro l’angolo.
Dal 2035 scatta lo stop ai motori tradizionali. L’Ue accontenta Berlino escludendo dal bando i motori che utilizzano i carburanti sintetici ma respinge al mittente la richiesta italiana di escludere anche i biocarburanti. Unico fronte su cui Meloni è in sintonia con l’Europa che conta è sul pieno sostegno a Kiev e sull’invio di armi a gogò.