Se non è stata una falsa partenza, allora si può dire che sulle riforme costituzionali per Giorgia Meloni la strada è tutta in salita. Ma non lo è per il parere negativo delle opposizioni, come recitano ossessivamente dai banchi della maggioranza con Maurizio Gasparri che in un’intervista a la Stampa è arrivato a parlare di “atteggiamento eversivo” da parte di M5S e Pd, quanto per le divisioni interne ai partiti che supportano il governo stesso e su cui in tanti stanno glissando. Eppure le posizioni di Forza Italia e soprattutto della Lega non sono bazzecole ma delle grane che la premier, volente o nolente, prima o poi dovrà affrontare.
Se non è stata una falsa partenza, allora si può dire che sulle riforme costituzionali per la Meloni la strada è tutta in salita
Proprio da via Bellerio arrivano i primi scricchiolii, per giunta gridati ai quattro venti e non tenuti sotto traccia. Quando la premier era impegnata nel lungo giro di consultazioni con i partiti di minoranza, a chiarire la posizione del Carroccio è stato il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, che ha tenuto a ricordare che il programma elettorale del Centrodestra prevedeva l’elezione diretta del presidente della Repubblica e non altre formule che andranno discusse all’interno della coalizione.
“Se si vuole virare sulla elezione diretta del premier chiediamo che vengano mantenute le garanzie sul ruolo del Parlamento” che non deve essere privato dei suoi poteri, ha spiegato Molinari. Ma dalla Lega insistono anche – e soprattutto – sul fatto che la riforma costituzionale deve viaggiare di pari passo con l’autonomia differenziata. Una precisazione tutt’altro che campata in aria perché è noto che sul punto siano scettici i meloniani, decisi a non spaccare in due l’Italia, al punto che per giorni si è vociferato del possibile rinvio della riforma atta a dare più potere alle regioni.
Che questo sia un nervo scoperto lo si è capito anche dalle parole della Meloni che, cercando di gettare acqua sul fuoco, ha spiegato: “Sono disponibile a spiegare come l’autonomia differenziata e la riforma delle istituzioni centrali si tengono insieme”, sono “un unico pacchetto”. Tutto risolto? Macché. Poco dopo a rincarare la dose ci ha pensato Matteo Salvini con quello che sembra un avvertimento alla premier: “È nostro dovere ascoltare tutti ma poi dobbiamo decidere noi. Come ministro delle infrastrutture sto sbloccando cantieri in tutta Italia fermi da anni. Anche sulle Riforme dare ai cittadini la possibilità di eleggere un governo e una maggioranza di governo senza cambi di poltrone e di casacca per cinque anni, insieme all’autonomia, renderà l’Italia finalmente un Paese moderno efficiente e più stabile”.
No al premierato. Per Salvini esistono solo il presidenzialismo e l’autonomia differenziata
Insomma il senso è chiaro e la Lega è disposta a fare parte della partita soltanto se verranno mantenuti i patti. Posizione che, se non fosse già sufficientemente chiara, è stata ulteriormente precisata dal viceministro leghista alle Infrastrutture, Edoardo Rixi, che prima ha bocciato il premierato in quanto “non va bene perché va mantenuta l’autonomia del Parlamento” e dopo si è detto scettico perfino sull’ipotesi, lanciata dal M5S, di una commissione bicamerale ad hoc per discutere della riforma in quanto “allunga solo i tempi”.
Anche qui si capisce come per il Carroccio esistono dei precisi paletti, per giunta messi nero su bianco nel programma elettorale della coalizione, che Meloni deve rispettare. Peccato che le posizioni del Carroccio sembrano in contrasto pure con quelle di Forza Italia visto che Antonio Tajani ha detto che “per l’Italia il premierato potrebbe essere una soluzione, mi sembra la più gradita tra le forze politiche” mentre non ha fatto cenno sull’autonomia differenziata.