Atlantista e filo europeista a Bruxelles, sovranista e isolazionista quando parla davanti a una folla in adorazione a Milano. Strana storia quella di Giorgia Meloni che, un po’ come il dottor Jekyll e Mr. Hide, sembra avere due identità diverse che prendono il sopravvento a seconda dell’interlocutore che gli si para davanti.
Giorgia Meloni getta la maschera. Se andrà al governo ci metterà contro l’Europa
Già perché in questa surreale campagna elettorale estiva, almeno nella prima fase, la leader di Fratelli d’Italia in più occasioni ha mostrato un volto rassicurante sia nei confronti degli alleati europei, i quali temono derive sovraniste che rischiano di contagiare altri Stati Ue, quanto per rendersi accettabile davanti a quella gran fetta di elettorato italiano che non ama gli estremismi.
Che questa fosse la direzione è apparso chiaro in svariati appuntamenti elettorali. Uno dei tanti risale al 10 agosto scorso quando il presidente di Fratelli d’Italia, replicando al segretario del Pd Enrico Letta che la accusava di essere falsa per compiacere l’Europa, rispondeva piccata: “Non ho bisogno di ‘incipriarmi’ per essere credibile. Non accettiamo lezioni da chi si erge a paladino dell’atlantismo ma poi stringe patti con la sinistra radicale nostalgica dell’Urss”.
Una stoccata dal duplice significato perché sembrava rivendicare questa posizione filo occidentale, più volte messa in dubbio da Pd e M5S per via dei presunti rapporti – mai chiariti – con Mosca, e anzi smascherava il dualismo dei rivali. Ma questa strategia di ingraziarsi gli alleati europei è apparsa ancor più evidente quando Giorgia Meloni, il 25 agosto scorso, in un’intervista alla Reuters ha nuovamente tranquillizzato le cancellerie europee.
Come primo punto, affrontando questioni di natura economica che stanno molto a cuore all’Europa, si è detta “molto cauta… Nessuna persona responsabile, prima di avere un quadro completo delle risorse che possono essere investite, può immaginare di rovinare le finanze del Paese”.
Poi, entrando nel dibattito sui rapporti con Bruxelles, Meloni ha confermato di volere “un diverso atteggiamento italiano sulla scena internazionale, ad esempio nei confronti della Commissione europea”, ma “questo non significa che vogliamo distruggere l’Europa, che vogliamo lasciare l’Europa, che vogliamo fare cose pazze”.
Tutto chiarito? Nient’affatto. Quando ieri si è trovata davanti all’ennesimo bagno di folla, questa volta a Milano, la leader di Fratelli d’Italia ha cambiato le carte in tavola e fatto una vera e propria svolta a ‘u’. “In Europa sono tutti preoccupati per la Meloni al governo e dicono cosa succederà?” ha gridato da piazza Duomo la Meloni che poi ha continuato “ve lo dico io cosa succederà, che è finita la pacchia e anche l’Italia si metterà a difendere i propri interessi nazionali come fanno gli altri, cercando poi delle soluzioni comuni”.
Si tratta di una dichiarazione piuttosto netta, nonché di uno scippo al repertorio di slogan a effetto del suo alleato-rivale Matteo Salvini che ha sempre amato dire – per qualsiasi cosa – che “è finita la pacchia”, che sicuramente deve far riflettere. La prima domanda da porsi è su quale dei due volti offerti dalla Meloni, ossia quello accomodante verso l’Ue o quello battagliero contro di essa, sia quello reale.
Considerando che Fratelli d’Italia è sempre stato un partito euroscettico e che questa posizione piace molto all’elettorato di destra, allora è probabile immaginare che l’eventuale governo guidato da Giorgia Meloni sarà tutt’altro che accomodante nei confronti di Bruxelles. Certo l’idea è quella di restare all’interno dell’Ue ma cambiando le carte in tavola.
Che le cose stiano così lo ha spiegato proprio da piazza Duomo quando ha attaccato l’Olanda degli “amici di Carlo Calenda” e la Germania degli “amici di Letta” che a suo dire sono colpevoli di non voler mettere il tetto al prezzo del gas per loro tornaconto, noncuranti dei guai che così facendo causano al resto dell’Europa.
Tutto giusto se non fosse che omette, probabilmente per evitare imbarazzi o forse per mera convenienza, di dire che in Europa il fronte del No al tetto al prezzo del gas può contare anche sull’Ungheria del suo alleato Viktor Orbán che, come noto, è da sempre ritenuto legato a doppio filo a Vladimir Putin.
Proprio questa ‘dimenticanza’, però, è l’ulteriore prova del fatto che la linea del – probabile – governo delle destre sovraniste italiane sarà quella di entrare in rotta di collisione con l’Ue. Del resto spulciando nel programma elettorale della Meloni è chiaro che non c’è l’intenzione di una Brexit all’italiana ma di restare nell’Ue cambiando le carte in tavola. In che modo?
Semplicemente modificando la Costituzione italiana così da eliminare ogni rimando all’Unione europea. Ciò permetterebbe di ribaltare i rapporti di forza tra le leggi comunitarie e quelle nazionali, dando prevalenza alle seconde rispetto alle prime.
Ma la Meloni da tempo sbandiera anche il suo atlantismo di ferro. Una posizione che viene ribadita quasi in ogni occasione pubblica tanto che molti ormai la ritengono come parte della storia di Fratelli d’Italia. Peccato che il partito non sia mai stato un grande amante della Nato che al pari dell’Ue viene vista quanto meno con sospetto.
E le cose stanno così dal 2012, anno di fondazione del partito che si era imposto per un feroce sovranismo che lo ha portato a definrie la Bce come un “comitato d’affari e di usurai” oppure di tifare per Brexit, fino almeno al 2020 quando la Meloni – trovandosi all’opposizione – ha capito che era il caso di ricostruire l’immagine di Fratelli d’Italia apparire come una forza responsabile e adatta a governare. Insomma secondo diversi esperti internazionali, tra cui il politologo David Broder dalle colonne del New York Times, si tratterebbe di una pura vera e propria recita con cui l’estremista Meloni si traveste da moderata semplicemente per accreditare sé stessa e il suo partito come un partner affidabile per la Nato, gli Stati Uniti e tutta l’Ue. Una narrazione, questa, che alla luce delle ultime dichiarazioni inizia a scricchiolare pesantemente.