Giorgia Meloni come sua prima uscita internazionale da presidente del Consiglio scelse Bruxelles, con l’obiettivo di smontare la narrazione su di lei e sul suo governo e per dimostrare che “non siamo marziani”. Oggi, a quattro mesi dal suo insediamento a Palazzo Chigi, e alla vigilia di un nuovo Consiglio europeo, Meloni e i suoi sono tornati a essere marziani e hanno riscoperto nel loro dna il sovranismo delle origini, quando sbraitavano contro l’Europa matrigna. Dal Mes ai balneari, dal no alla direttiva sulle case green al no allo stop ai motori tradizionali dal 2035, dai migranti al piano di investimenti europeo in risposta a quello americano, numerosi sono i conti aperti tra Roma e Bruxelles.
La Meloni parteciperà oggi al Consiglio europeo. Il primo dopo la disastrosa gestione dei migranti a Cutro
“Finché ci sarà un governo guidato da me l’Italia non potrà mai accedere al Mes. E temo che non potranno accedere neanche gli altri”, ha dichiarato qualche giorno fa Meloni. E ieri ha ribadito che non è un totem e che, come propone Confindustria, potrebbe diventare uno strumento reale di sviluppo industriale e finanziario europeo. Andrebbe cioè snaturato. Sul Meccanismo europeo di stabilità, dall’ultimo Eurogruppo, da Bruxelles è arrivato invece un invito che sa di ultimatum anche perché, senza la ratifica di Roma il fondo non può essere attivato.
Sui balneari l’Ue attende da tempo l’adeguamento dell’Italia alla direttiva Bolkenstein
Sui balneari, poi, l’Ue attende e pretende da tempo l’adeguamento dell’Italia alla direttiva Bolkenstein. L’Italia della Meloni, Forza Italia e Lega in testa, non vogliono sentir ragioni. La situazione peggiora se si considera l’ostilità delle destre italiane al Green deal, con il no allo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035 e il no alla direttiva sulle case green. Su entrambi l’Italia ha manifestato la sua contrarietà tacciando, nel caso della direttiva per gli edifici sostenibili, di “irragionevolezza” l’Europa.
Sullo stop alle auto il muro di Roma è più alto di quello alzato da Berlino. L’Italia chiede infatti di non escludere non solo gli e-fuels, come chiede la Germania, ma anche i biocarburanti. Poi ci sono le frizioni su Net Zero, ovvero il piano industriale con cui Ursula von der Leyen mira a produrre entro il 2030 sul suolo europeo il 40% della tecnologia pulita usata nel Vecchio continente. Nel piano sono elencate le categorie energetiche da sviluppare e, come appendice, sono previsti un atto ad hoc sulle materie critiche (per ridurre la dipendenza dalla Cina) e una banca dell’idrogeno.
Lega: “Sbagliato copiare gli Usa e pensare di inseguirli senza armi adeguate”
Anticipando le linee principali in Plenaria al Pe, von der Leyen ha ribadito che “le priorità politiche della Commissione – il Green deal europeo, la digitalizzazione e la resilienza geopolitica – rimangono invariate e hanno dimostrato di essere le priorità giuste”. Parole che sono state accolte con freddezza dalla maggioranza di governo. “Sbagliato copiare gli Usa e pensare di inseguirli senza armi adeguate”, è stato il commento in Aula della Lega. Ad aumentare le perplessità del governo sul Net Zero potrebbero esserci due elementi. Primo: nel testo non si parla di alcun fondo di sovranità europeo. Per ora la Commissione insiste sull’uso dei fondi esistenti: Recovery, RePower, InnovationEu e InvestEu.
Ancora più scivoloso il terreno su salario minimo e reddito minimo
Secondo: dall’ultima bozza è stata esclusa l’energia nucleare sulla quale il governo potrebbe puntare. Ancora più scivoloso diventa il terreno sul salario minimo e sul reddito minimo: le raccomandazioni dell’Europa agli Stati membri perché questi siano adeguati e dignitosi sono appelli che cadono nel vuoto per il governo Meloni. Unico punto di convergenza tra Bruxelles e Roma sembrano rimaste le armi a Kiev. Quanto basta per dire che i marziani sono tornati.