Giorgia Meloni deve avere finito i suoi bei discorsi scritti con ritmo. Incagliata nel ripetere “sono una madre” e nell’accusare di vilipendio allo Stato chiunque avanzi dubbi sull’operato del suo governo (ritenersi Stato e popolo è un vizio antico, da quelle parti) ieri alla Camera la presidente del Consiglio durante il dibattito sulle comunicazioni in vista del Consiglio Ue di oggi, inciampa in una maggioranza che si presenta compatta quando c’è da incassare ma sfibrata quando le tocca fare politica.
Alla Camera la Meloni inciampa in una maggioranza che si presenta compatta quando c’è da incassare ma sfibrata quando le tocca fare politica
La fotografia dell’inizio della seduta non ha bisogno di analisi. Ai banchi del governo mancano tutti i ministri leghisti (dopo l’imbarazzo dei salviniani già al Senato) e a parlare per la Lega si iscrive solo il deputato Stefano Candiani. Le parole del capogruppo al Senato Massimiliano Romeo risuonano ancora: “l’obiettivo della cessazione delle ostilità sembra più una dichiarazione di principio”, aveva detto l’altro ieri Romeo nel suo intervento, lamentando la mancanza di impegno per la “cessazione delle ostilità” e puntando il dito contro “il rischio di incidente”.
“La Lega assente dai banchi del Governo. L’intervento di ieri in Senato del capogruppo contro la linea della Meloni sull’Ucraina. Questo esecutivo è già in crisi. Per le ragioni sbagliate”, scrive lesto il leader del cosiddetto Terzo polo Carlo Calenda. Dell’ammutinamento della Lega sull’Ucraina Meloni non ne vuole sentire. “Non state ad ascoltare le chiacchiere della sinistra”, dice ai giornalisti presenti a Montecitorio (per lei è tutto “sinistra ciò che non è con lei), indicando l’arrivo del ministro Valditara come segnale di buoni rapporti con gli alleati di governo.
Potrebbe avere ragione se non fosse che Valditara sia il ministro meno “leghista” tra i leghisti e se non fosse che i leghisti non si sforzano nemmeno a nascondere i loro malumori. La questione dirimente non è nulla di umanitario, sia chiaro. Si litiga sulle nomine principalmente. Anche in questo caso gli ucraini sono solo le leve utili in quel momento. Vittoria Baldino del M5S ricorda alla presidente del Consiglio che sulla strage di Cutro non sono ancora arrivate le risposte che erano stato promesse.
I leader politici non hanno trovato un minuto per commentare lo spaventoso scenario disegnato nel rapporto Onu sulla siccità
“Meloni non ha voluto andare a Crotone per non trovarsi a tu per tu con delle piccole bare bianche con la sua coscienza di madre”, ha detto la deputata del M5S. Angelo Bonelli, di Alleanza Verdi Sinistra, prova a mettere sul tavolo anche il tema della siccità, in una giornata in cui i leader politici non hanno trovato un minuto per commentare lo spaventoso scenario disegnato nel rapporto Onu. Meloni ride. “Lei ride – attacca Bonelli – ma la questione della siccità è una questione attuale. è un problema drammatico e le vostre politiche energetiche, come quella di volere rendere l’Italia un Hub di fonti fossili, lo aggrava”. Risate ancora di Giorgia Meloni. “Questione di stile”, commenta amareggiato Bonelli.
La replica della presidente del Consiglio è un potpourri di inesattezze e di tecniche ormai ritrite. C’è la solita accusa di calunnia sulla strage di Cutro (“è una calunnia non solo del governo ma nei confronti dello Stato italiano, degli uomini e delle donne delle forze dell’ordine, del nostro intero sistema”, dice Meloni) senza dirci una parola sui verbali della Guardia di finanza che smentiscono in toto la ricostruzione del governo. C’è il vittimismo d’accatto (“siamo stati lasciati da soli a fare questo lavoro a volte fuori dai confini nazionali”) e la riesumazione del “blocco navale” che ora Meloni vorrebbe rivendere come operazione umanitaria europea.
Conte: “Ci state trascinando di gran carriera in guerra ignorando che in un conflitto scatenato da una potenza nucleare non ci sono vincitori”
Nessuna risposta nemmeno sulla siccità, al di là di una pietosa battuta che non fa ridere (“presumo che lei non voglia dire che in 5 mesi ho prosciugato l’Adige, nemmeno Mosè. Io non sono Mosè, caro Bonelli, la ringrazio che mi riconosca questi poteri ma non ce li ho”) e l’accusa al M5S di voler aiutare Putin. Giuseppe Conte non ci sta. “Ci state trascinando di gran carriera in guerra ignorando che in un conflitto scatenato da una potenza nucleare non ci sono vincitori. Per questo non possiamo sostenere ulteriori forniture militari e inviamo tutti in Parlamento a uscire dall’equivoco che questo sia il modo di aggiungere la pace”, spiega il presidente del M5S.
“Lei, presidente Meloni, – incalza Conte – ieri in Senato ha dichiarato che non è questo il momento della pace, e qual è? Chi lo decide e su quali basi?”. Il leader dei 5 Stelle contesta anche il “patriottismo d’accatto” del partito della presidente: “In Italia siete Fratelli d’Italia, a Bruxelles fratelli di Visegrad”, dice nel suo intervento. Nel corridoio di Montecitorio Conte ha anche sottolineato come ci sia “ancora da lavorare” per una convergenza con il centrosinistra.
Ma il dato politico che spiega la giornata è il voto sulla risoluzione dei partiti di maggioranza che in alcune parti ha incassa l’appoggio del cosiddetto Terzo polo, in un percorso di avvicinamento lento ma inesorabile. Bocciate invece le risoluzioni di M5S, Pd (che ha votato con le destre il testo del Terzo polo per “il sostegno militare a Kiev) e Alleanza Verdi Sinistra. C’è un’ultima curiosità: Giorgia Meloni è uscita dall’Aula poco prima dell’intervento della Lega. Chissà se anche questa sarà stata una coincidenza.