Ordinanze prefettizie, interventi dell’Autorità nazionale anticorruzione e ora anche verdetti ribaltati. Con il rischio, sempre più alto, che il Mose, il sistema di barriere mobili contro il fenomeno dell’acqua alta a Venezia, finisca per ‘inabissarsi’ insieme agli 8 miliardi finora sborsati per la sua realizzazione.
Il verdetto – L’ultima puntata della storia infinita, è andata in scena ieri. Con la decisione dal Consiglio di Stato che, nel ricorso promosso dall’Anac, Prefettura di Roma e ministero dell’Interno contro contro la sentenza del Tar, favorevole al Consorzio Venezia Nuova, concessionario dell’opera, e a nove consorziate, ha stabilito, capovolgendo il giudizio di primo grado, che l’ordinanza del 22 gennaio 2016, con la quale la Prefettura di Roma ha esteso anche alle imprese consorziate “l’acantonamento degli utili imposto” proprio al Consorzio Venezia Nuova è da ritenersi legittima e valida. Motivo: secondo i giudici di Palazzo Spada, è “prioritario assicurare la conservazione dei proventi dell’eventuale corruzione, in attesa della definitiva sentenza penale”. Quella relativa alla vicenda che ha interessato gli ex amministratori del Consorzio Venezia Nuova. I giudici, riformando la sentenza del Tar Lazio del 2016, hanno confermato la legittimità del provvedimento adottato dal Prefetto di Roma che – in applicazione della misura della straordinaria e temporanea gestione del contratto – aveva ordinato ai commissari ad acta di accantonare tutti gli utili derivanti dall’esecuzione commissariale del contratto, anche se spettanti alle imprese consorziate che non erano parti del contratto di concessione. “La ratio della norma è quella di consentire il completamento dell’opera nell’esclusivo interesse dell’amministrazione concedente mediante la gestione del contratto in regime di ‘legalità controllata’ – si legge nella sentenza -. Ciò al fine di scongiurare il paradossale effetto di far percepire, proprio attraverso il commissariamento che gestisce l’esecuzione del contratto, il profitto dell’attività criminosa”. La separazione giuridica tra il Consorzio e le imprese che ne fanno parte – conclude il Consiglio di Stato – non è circostanza in grado di paralizzare l’effetto anticorruttivo della disposizione di legge ed il conseguente congelamento degli utili, che deve necessariamente estendersi a tutti coloro che eseguono i lavori per conto del Consorzio Venezia Nuova, in attesa della definitiva sentenza penale.
De profundis – All’Anac non nascondono la soddisfazione per la decisione che ha confermato di fatto la bontà dell’iter di commissariamento predisposto con le misure di straordinaria e temporanea gestione sul Consorzio Venezia Nuova. Ma a questo punto in molti temono per il destino dell’opera. Un’opera che è in gran parte sommersa e avrebbe bisogno urgente di manutenzione, senza la quale rischia seriamente di inabissarsi per sempre nelle acque della laguna. Trasformandosi nell’ennesima cattedrale nel deserto.