“Abbiamo scritto una legge di Bilancio che non si limita a una lavoro ragionieristico ma fa delle scelte politiche”. Inizia con queste parole la conferenza stampa con cui Giorgia Meloni ha presentato la prima finanziaria varata dal suo esecutivo, dicendosi molto “contenta del lavoro fatto e dell’approccio da bilancio familiare” usato nella stesura del testo.
La prima Manovra del governo Meloni è un ceffone ai poveri. Piovono critiche dall’opposizione
Una “legge di bilancio da 35 miliardi”, di cui “21 contro il caro bollette”, che assomiglia a un manifesto programmatico come lascia intendere, con un sorriso stampato sul volto, il Presidente del Consiglio spiegando che l’Esecutivo è “partito dalle cose utili e irrinunciabili, assumendosi la responsabilità delle scelte fatte”.
Una finanziaria “coraggiosa, coerente con gli impegni presi con gli italiani e che scommette sul futuro”. Il discorso fila ed è giusto che il premier di turno dica cose simili, il problema semmai è passare dalle parole ai fatti.
La prima Manovra del governo Meloni è un ceffone ai poveri
Già perché la Meloni ha detto chiaro e tondo che “questa manovra ruota attorno a due grandi priorità: crescita e giustizia sociale”. Se sul primo punto il giudizio dipende da molti fattori, sul secondo si può avere più di qualche dubbio sul fatto che la strada intrapresa dall’Esecutivo sovranista sia quella giusta.
Come spiegato dal premier stesso, soprattutto per rispondere alle critiche piovute nei giorni scorsi secondo cui si stava preparando un testo che penalizzava i poveri e favoriva i ricchi, nella manovra ci sono “tre tasse piatte”, tra cui quella “sui redditi incrementali alle partite Iva che hanno una tassa piatta del 15% sul maggiore utile conseguito rispetto al triennio precedente con soglia massima 40 mila euro, il che dimostra che si tratta di una misura rivolta al ceto medio, che non favorisce i ricchi e riconosce i sacrifici di chi lavora”.
Poi spiega che è stato sancito l’innalzamento della flat tax da 65mila euro agli 85mila per i lavoratori autonomi, una misura che sembra avere ben poco a che fare con la giustizia sociale precedentemente richiamata perché secondo i tecnici del dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, guidato da Giancarlo Giorgetti, ciò rischia di favorire l’evasione fiscale.
Il mini taglio del cuneo fiscale che scontenta tutti
E non può neanche bastare l’annuncio del taglio, anzi del tagliettino, del cuneo fiscale per rendere meno indigesta questa manovra a tantissimi italiani. “C’è il taglio del cuneo: non solo confermiamo quello del 2% redditi fino a 35mila euro interamente lato lavoratore ma aggiungiamo un ulteriore punto per i redditi fino a 20mila euro”, si tratta della “misura più costosa di tutta la legge di bilancio: costa 4 miliardi di euro e questo indica che l’altra priorità del governo è per aumentare” lo stipendio a “coloro che hanno redditi più bassi”.
Peccato che tutto ciò si traduca in poco più di una mancia e che tutti chiedevano un taglio ben più incisivo. Ma a rendere ancor più strano il discorso sull’equità sociale c’è soprattutto il discorso relativo al Reddito di cittadinanza. “Siamo fedeli ai nostri principi si continua a tutelare chi non può lavorare, aggiungiamo anche le donne in gravidanza, ma per chi può lavorare si abolirà alla fine del prossimo anno, non potrà essere percepito per più di 8 mesi e decade alla prima offerta di lavoro” ha spiegato la premier che quindi nel 2024 metterà definitivamente in soffitta la misura contro la povertà.
Poi ha praticamente sfidato le opposizioni, in particolare Giuseppe Conte e M5S, dicendo di vedere “forze politiche che chiamano la piazza, va bene tutto però vorrei sapere se chi lo ha pensato lo ha immaginato come uno strumento dello Stato per occuparsi delle persone dai 18 ai 60 anni”. Insomma la vecchia storia dell’assistenzialismo a cui controbatte l’utopica soluzione dello Stato che deve “trovare un posto di lavoro” a queste persone, dimenticando però che il mercato del lavoro è fermo da decenni e che le offerte quasi sempre si riducono a stipendi da fame.
Reazioni a caldo. Conte: “Apre una guerra agli ultimi”
Una manovra che sembra riuscire nel difficile intento di scontentare tutti. “Ci avevano raccontato di essere ‘pronti’, eppure la legge di bilancio si conferma una manovra davvero misera che, incapace di rispondere al disagio del Paese, apre una guerra agli ultimi” scrive Giuseppe Conte. Gli fa eco il deputato Pd, Alessandro Zan: “Dopo anni di slogan, ora Meloni fa i conti con la realtà. Delle promesse elettorali non rimane nulla: solo la cancellazione del reddito di cittadinanza e 700 mila italiani abbandonati a sé stessi, occhiolino agli evasori. Un manifesto di iniquità più che una Manovra”.
Bocciatura netta anche da parte di Matteo Renzi secondo cui “finché non vediamo il testo, ovviamente, il giudizio è sospeso. Da quello che si legge sulle anticipazioni, tuttavia, sembra una manovra tutta chiacchiere e distintivo. Vedremo in Aula se c’è sostanza o sono soltanto spot populisti.
Perplessi anche i sindacati con Domenico Proietti, segretario confederale della Uil, che reputa il provvedimento sbagliato in quanto “contiene un po’ di tutto e un po’ di niente. Il disegno di legge di bilancio non affronta con la dovuta determinazione i temi chiave per sostenere la crescita e contrastare la spirale inflativa”.